Italia, il mal di giustizia in cifre


Le classifiche internazionali, si sa, si prestano spesso a considerazioni sconcertanti. Nessuno, ad esempio,  nemmeno tra gli addetti ai lavori si illude che le condizioni dell’amministrazione della giustizia in Italia siano da considerare soddisfacenti, almeno secondo gli standard dei Paesi che aderiscono all’Ocse. Ma stupisce che, secondo uno studio della Banca Mondiale, dedicato all’ “efficienza dei sistemi di giustizia” l’Italia figuri al 156 posto su 181 Paesi considerati, dietro a molti Stati africani, come Angola, Gabon, Guinea e Saò Tomé, poco più avanti della Liberia.


Ma, a contribuire a questa classifica, specchio di una situazione che danneggia tutti i soggetti interessati ci sono tanti fattori:


1)       I nove milioni di processi pendenti di cui oltre 5,7 milioni civili e 3,3 milioni penali. In media uno per ogni sette cittadini. Molto di più di, a proposito della giustizia civile, quanto non accade in Francia (1,16 milioni), Germania (544 mila) e Spagna (781 mila) messi assieme. Nel penale, la situazione è peggiore: nei tribunali italiani in primo grado nel 2006 pendevano 1,2 milioni di procedimenti, più del doppio di Germania (287 mila), Spagna (205 mila) e Inghilterra (70 mila).


2)       L’affollamento incide, come è ovvio, sull’efficienza. Ogni anno decadono, per prescrizione, almeno 170 mila procedimenti all’anno, cifra che, secondo alcune fonti, sale fino a 200mila. Nel distretto di Napoli viene dichiarato estinto un procedimento ogni 13 minuti. Oppure, se un qualunque creditore in materia commerciale che rivendica, a pieno titolo, il diritto ad incassare i suoi soldi, deve aspettare in media oltre 1200 giorni (tre anni e mezzo) perché un giudice gli dia ragione e renda esecutivo il rimborso. Segue la Spagna con 551 giorni. Per quanto riguarda i reati penali più gravi (omicidio, rapimento, criminalità organizzata, traffico di stupefacenti) risultavano in primo grado, sempre nel 2006, circa 1,2 milioni di procedimenti contro 70 mila nel Regno Unito.


3)       Eppure i costi della giustizia che gravano nelle tasche dei contribuenti non sono pochi, soprattutto in rapporto ai risultati. La spesa complessiva negli ultimi anni è aumentata: dai 5 miliardi 187 milioni (calcolati in euro) del 1997 si è passati ai 7 miliardi 608 milioni di euro del 2008 (+46,8 per cento in 11 anni) secondo l’ultima relazione al Parlamento del gennaio scorso del ministro Angelino Alfano.  Ma sono saliti anche i costi, per giunta in maniera esponenziale. Secondo il rapporto “Doing Business 2009” della Banca Mondiale in Italia il costo processuale è il più alto d’Europa:  il 29,9% del valore della causa (di cui il 21,8% finisce in parcelle agli avvocati) contro il 14,4% della Germania, il 17,4% della Francia e il 10,4% della Finlandia.


4)        Tra gli effetti dell’inefficienza è il frequente ricorso alla carcerazione preventiva che riguarda circa il 40% della popolazione carceraria che rischia di raggiungere il tetto delle  70mila unità entro la prossima estate che rischia di essere davvero calda.


8 Commenti a “Italia, il mal di giustizia in cifre”

  • Talita:

    Aggiungerei un punto
    5) La pelosità della politica, che utilizza i servizi della magistratura per stroncare l’avversario oppure per costruirsi un santino personale.

    Per la prima specie – politica e magistrati-colf – seguiamo attentamente l’inchiesta di Bari sulle escort (senza ruote) e sull’Agcom-Annozero.
    In nessun Paese occidentale si è mai fatto un uso tanto sconsiderato e peloso delle inchieste giudiziarie e degli atti&intercettazioni relativi alle inchieste.
    In Italia sì. Perché?

    Intanto i magistrati baresi indagano, e sta affiorando la possibilità di un complotto contro il Governo.
    Sotto indagine sono un alto ufficiale della Finanza, un Pubblico ministero della Repubblica e alcuni giornalisti.

    Ossia i tre poteri forti, che oggi sono in grado di colpire a piacimento la politica, l’imprenditoria e la finanza: influenzando anche l’opinione pubblica e dunque CONDANNANDO prima della sentenza definitiva.
    E perfino nell‘eventualità che al polverone non segua un‘incriminazione.

    Una certa magistratura partecipa con la fuga di notizie, i cui talponi non vengono quasi mai scoperti né puniti.
    Alcuni giornali partecipano diventando la “buca delle lettere” delle veline a loro inviate dai magistrati. Copiano/incollano et voilà gli articoli sono pronti.

    Quindi – piano e bene! – vogliamo chiederci una volta per tutte: oggi, da chi siamo governati?
    Da politici regolarmente eletti dal popolo oppure dai magistrati, che nessuno ha eletto e che siedono sulla loro cadrega solo grazie a concorsi erratici e a meccanici avanzamenti di carriera, neppure basati sui loro meriti?

    La seconda specie di politici – quelli che, magari disoccupati, tentano di costruirsi un pulpito tarlato – è attualmente rappresentata da Walter Veltroni, che, non pago della vacuità di una certa politica di cui è stato recentemente ideatore e interprete, adesso si mette a chiedere ai magistrati la riapertura del caso Pasolini e del caso Mattei.

    Gli consiglierei anche di chiedere la riapertura del caso Tutankhamon: che morì a soli 20 anni e potrebbe essere stato assassinato dal suo tutore o da qualche oppositore politico, visto che allora le escort non avevano un registratore incorporato e il Faraone si faceva le leggi da sé.
    Dunque si doveva ricorrere all’assassinio tout court.

    Sono certa che i magistrati – anche convinti dal successo della serie televisiva “Cold case” – stiano già cercando i pentiti più idonei, che ci rivelino le loro “verità” sui casi succitati.

    E fa niente, suvvia! – la prescrizione annua di almeno 170.000 processi.
    Basta che riguardino solo poveri cristi e non siano a carico di determinati vip non funzionali al Sistema.

  • Cesare:

    ehh, proprio come dico da tempo, … il tirare in lungo giova sicuramente a tutti i personaggi interessati ad emettere fatture.
    Xchè terminare il lavoro se comunque c’è qualcuno (stato e/o privato) che è disposto a continuare a pagare?.
    Avviene lo stesso nelle Aziende, dove si inventano il lavoro per giustificare la presenza (a tutti i livelli) fin tanto che… arriva il nuovo capo che li manda tutti a casa.

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