Fattore Umano | Beneduci (Osapp): «Carceri oltre il limite. Poliziotti allo stremo»


«Un terzo delle regioni è vicina del collasso» denuncia il segretario dell’Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria. «Ogni giorno 40 nuovi ingressi – aggiunge – mentre la carenza di personale è ormai drammatica»


«Una media di 67.500 detenuti, con un picco nel 2010 di 69.000». Bastano questi numeri per capire cosa succede davvero nelle carceri italiane. A Parlare è Leo Beneduci, segretario dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria). «Per rendere l’idea – prosegue – nel 1998 c’erano 49.050 detenuti, praticamente negli stessi spazi». Un sovraffollamento che si riflette nel lavoro quotidiano degli agenti: «I poliziotti penitenziari in servizio – spiega Beneduci – sono 37.500 su di un organico di 44.620 unità definito per legge nel 1991 e mai aggiornato. Allora però  di detenuti ce n’erano circa 37.000». La carenza di personale dunque è preoccupante: in media un poliziotto in servizio deve gestire 17 detenuti. E di notte o nei festivi il rapporto diventa anche 1 a 100.


Dottor Beneduci, partiamo dai numeri. Sembra di capire che la “capienza” funziona come un elastico. La si modifica a seconda dei momenti…

La “capienza regolamentare” così definita – e che rappresenta per noi posti realmente disponibili –, riguarda la possibilità di allocare i detenuti in condizioni alloggiative normali, tipo due o anche un solo detenuto per cella, in alcuni casi e quando lo spazio lo consente anche tre, come dovrebbe essere. L’Amministrazione penitenziaria, comunque, a causa dell’emergenza ha definito anche un altro parametro che è quello della “capienza tollerabile” (oggi pari a 69.126 posti), che in pratica significa aggiungere ad ogni due posti un altro posto, aumentando così la capienza regolamentare del 50%. E non solo: perché nella capienza tollerabile l’aumento dei posti riguarda anche le infermerie e gli isolamenti, grazie a presunti malati o isolati, che magari non ci sono, sale ancora la possibilità di intasare le celle. In alcune i detenuti possono stare solo sui letti, ci sono troppe brande e non si cammina.


In sintesi?

Anche la capienza tollerabile è ormai superata in ben 7 regioni su 20.


Cosa significa per gli agenti lavorare in carceri così sovraffollate?

Le 803 aggressioni subite da gennaio o i circa 900 poliziotti penitenziari che ogni giorno non si recano in servizio per infermità conseguenti al lavoro svolto (spesso riguardanti la sfera psichica ndr.), la dicono lunga su come si lavora in carcere. Il problema riguarda anche la scarsa “soddisfazione” professionale per il lavoro svolto. La Polizia Penitenziaria dovrebbe essere, per legge, l’unico Corpo di Polizia dello Stato, che oltre alle “classiche” funzioni preventive e repressive, svolge attività legate al reinserimento sociale dei detenuti, attraverso l’osservazione, il contatto quotidiano e costante con i detenuti, per recuperarli attivamente alla società. Un’attività, questa, che la Polizia Penitenziaria dovrebbe poter svolgere in sinergia con altre figure professionali penitenziarie quali direttori, educatori, cappellani, psicologi. Spesso però il contesto non aiuta. Non bastasse, ci tocca fare ben altro: sostituire operai, contabili, educatori, medici e infermieri e così via. Credete che qualcuno riconosca al Corpo questa capacità-necessità di interpretare una così ampia molteplicità di ruoli? Niente di tutto ciò.


L’emergenza carceri sarà oggetto di una seduta straordinaria di Camera e Senato. Cosa si aspetta?

Le attese e le speranze sono alte. Anche dopo gli appelli del Presidente Napolitano. Ormai nessun  deputato o senatore può dire di non conoscere il problema. Anche perché di provvedimenti “tampone” per deflazionare le carceri ne sono stati assunti parecchi, salvo poi rimangiarli o vanificarli con altri, tipo la ex Cirielli, la Bossi-Fini e altro ancora.


Un indulto potrebbe servire?

Perché no, visto che i dati sulle recidive dicono che solo il 34% degli “indultati” è rientrato in carcere, rispetto al 68% di coloro che scontano la condanna fino alla fine. Però, più che un indulto, sarebbe opportuna un’amnistia, con i dovuti distinguo, visto che per alcuni reati non riesco a vedere alternative al carcere, anche a quello attuale. Poi vi sono altri aspetti:  depenalizzazioni, misure alternative, detenzione domiciliare, maggiori limiti alla custodia cautelare, l’introduzione della Probation anche per gli adulti e di pene sostitutive al carcere, vanno bene. Purché si sbrighino e non ci ripensino qualche mese dopo sull’onda di qualche delitto di particolare clamore o efferatezza. Del resto, di colpevoli di reati veramente gravi nelle carceri italiane non ce ne sono tantissimi, tutto il resto potrebbe avviarsi a percorsi alternativi.


Cosa fare quindi per evitare il tracollo della “macchina carceraria”?

Ci sarebbero molte cose da ripensare. Non ha senso risolvere tutto nella classica formula: tu sbagli/ ti arresto/il giudice condanna/vai in carcere fino a fine pena. Così come non ha senso costruire nuove carceri, magari per 100.000 detenuti. Sarebbe meglio stabilire che il carcere costituisce l’estrema ratio. Soprattutto per chi ha alle spalle  una vistosa carriera criminale e dopo che sono fallite tutte le altre possibilità/opportunità offerte. Negli altri casi, destinare risorse vere, e quindi energie, al recupero sociale, offrire rapporti, conoscenze e lavoro a chi ha sbagliato deve diventare un onere senza pregiudizi per l’intera società. Anche il volontariato andrebbe riorganizzato. Insieme alla Polizia Penitenziaria costituisce un pilastro insostituibile.


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