Fattore Umano | Nessun detenuto resta VIP


Il nuovo libro di Melania Rizzoli con le testimonianze dei reclusi famosi. «Per attirare quante più persone a interessarsi dei problemi carcerari»



«Non è facile scrivere un libro sulle carceri e trovare un editore». È una delle prime considerazioni che si possono ascoltare da Melania Rizzoli, medico, parlamentare del Pdl, moglie di Angelo Rizzoli, autrice di Detenuti (Sperling & Kupfer), un viaggio di “incontri e parole” tra gli istituti di pena italiani. Melania Rizzoli però questo libro è riuscita a scriverlo, e a pubblicarlo, girando in lungo e in largo le carceri la Penisola per raccogliere le storie e alle testimonianze dirette di detenuti (o ex detenuti) “eccellenti”, persone quindi dai nomi noti al grande pubblico.


Storie di galera – si può dire – perché Melania Rizzoli non si pone la domanda se si tratti di persone innocenti o colpevoli. Questo perché, per scelta, il risvolto prettamente giudiziario non fa parte del libro. L’obiettivo non è quello di ribaltare verdetti emessi in aule di Tribunali. Il suo scopo è diverso: è di richiamarci comunque «all’umanità dei detenuti», innocenti o colpevoli che siano o che si dichiarino tali, descrivendo il loro vissuto di persone ristrette, e di scandagliare quel misto di «rabbia, ostilità e disperazione che nelle carceri italiane è sempre nell’aria». Una scelta, quella di intervistare solo VIP, per attirare – come ha dichiarato la stessa Rizzoli: «quante più persone a interessarsi dei problemi carcerari».






Un libro di emozioni, dunque, anche difficili da digerire. Come quando si legge del boss dei boss, Bernardo Provenzano, capo di Cosa Nostra dopo l’arresto di Totò Riina, mandante di centinaia di assassini, oggi vecchio e malato di un tumore in fase avanzata, tuttora in regime di 41 bis, che dice a Melania Rizzoli che la cosa che più gli manca è l’«aria». È lì che viene subito voglia di schierarsi con chi il male dei boss alla Provenzano l’ha subito, e a cui l’aria è stata tolta per sempre, magari con una pallottola o una bomba. Melania Rizzoli lo sa ed è consapevole dello sguardo delle vittime, rispetta quello sguardo, ma aggiunge: «ho cercato di descrivere persone». Ed è questo l’aspetto migliore del libro, quello di evitare di schierarsi sul piano della giustizia, facendoci capire che un conto sono le sentenze, altra cosa è il mondo sommerso nelle carceri, dove la vita reale troppo spesso scorre al di fuori di quella che chiamiamo umanità o, con falsa coscienza, «pena emendativa».


Sfilano così sotto gli occhi dei lettori alcuni volti noti della politica, ex leader finiti nella polvere, come Ottaviano del Turco o Salvatore “Toto” Cuffaro, oppure i nomi di imprenditori di successo, come Francesco Bellavista Caltagirone, rinchiuso lo scorso marzo con l’accusa di «truffa allo Stato», che si chiede perché per lui, ultrasettantenne, non possano valere i paletti previsti dalla legge sulla «custodia cautelare». E ancora, personaggi dello spettacolo e dello star system, da Franco Califano che spiega come la sua salvezza in galera sia stata quella di crescere fin da bambino in un quartiere coatto, al pianto irrefrenabile di Lele Mora, agli autori di delitti di cronaca nera come Michele e Sabrina Misseri, agli ex terroristi, dalla “nera” Francesca Mambro al “rosso” Sergio d’Elia, fino al controverso caso di Adriano Sofri.


Scrive nella prefazione Luigi Manconi, «La verità del libro è che attraverso le sofferenze di uomini illustri o ex tali, si arriva a conoscere la realtà carceraria». Una realtà dove, accanto ai nomi eccellenti, grava un’umanità di quasi 67mila persone, a fronte di 45mila posti disponibili.


Numeri che conviene ripassare: dei 67mila ristretti, non meno del 30% sono tossicomani (oltre 20mila), il 34% sono stranieri (circa 25mila), il 16% appartiene alla criminalità grande o media (poco più di 10mila), il resto sono “scarti sociali”, gente senza dimora, infermi di mente, alcolisti, persone ai margini del sistema, che entrano ed escono dagli istituti di pena anche per la diminuita capacità del Welfare di fare fronte al disagio sociale.


C’è poi un altro dato. Circa il 40%, pari a 26-27mila detenuti, sono detenuti in attesa di giudizio. Ma soprattutto, circa la metà di costoro viene poi assolta. Il conto è presto fatto: le patrie galere, statisticamente parlando, sono in ogni momento affollate da un esercito di 13mila innocenti.

Melania Rizzoli accenna a questi dati, ma si sofferma soprattutto sulle persone. Ne escono quadri dolenti, sofferenti, di persone attaccate ai pochi spazi della vita carceraria, agli affetti famigliari, stordite dall’attesa dei tempi giudiziari. «I detenuti che hanno commesso errori – scrive perciò Melania Rizzoli – convivono con una pena profonda e costante, un tarlo che li rode, una malattia che non li uccide, ma li fa ammalare dentro». E ancora: «ho tentato di denunciare come spesso venga calpestata la dignità dell’uomo e come l’umiliazione della detenzione annulli anche le personalità più forti».


Ne emergono continue piccole confessioni: da Salvatore Cuffaro che dice «finalmente sono ultimo, non più primo», a Bernardo Provenzano che biascica in stretto dialetto «il male è dentro il mondo», a Lele Mora che osserva sconsolato come i tantissimi amici siano «tutti spariti». Alla fine ci si accorge che non esiste il “Carcere dei Famosi”, ma solo il carcere e basta. Perché il carcere, anche per i Famosi, trascolora la vita, fa da cesura, tra un prima e un poi che non s’incontrano.


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