Truffe carosello: perché Scaglia “poteva non sapere” (3)
I documenti prodotti dal Comitato di Internal Audit nel luglio 2003 dimostrano che al Cda di Fastweb, in data 29 agosto, arrivarono solo notizie “rassicuranti” in merito alle verifiche fiscali, contabili e civilistiche promosse.
Da quanto si è finora esaminato (vedi post del 21 e del 24 settembre), si arriva alle seguenti conclusioni:
1) Il Comitato di Internal Audit segnala nel 2003 delle “criticità” di cassa sulle prepagate;
2) Si decide a livello del Cda di condurre “approfondimenti” fiscali, contabili e civilistici (verbale del 14 luglio 2003);
3) L’attività delle “prepagate” viene bloccata dall’AD Angelidis (mail del 15 luglio)
Si arriva così a due domande chiave:
1) Cosa produssero gli approfondimenti sulle Phuncards del Comitato di Internal Audit?
2) Cosa arrivò di queste indagini all’attenzione di TUTTI i membri del Cda?
Esiste in proposito un documento agli atti del processo dal titolo inequivocabile (da notare: è proprio il “documento importantissimo” a cui si riferisce Scaglia negli interrogatori, sul quale cerca insistentemente di riportare l’attenzione dei PM):
“INTERNAL AUDIT – Approfondimento delle prepagate - 29 agosto 2003”
Si legge testualmente:
“EXECUTIVE SUMMARY
Pagine 2 e 3
Nella riunione del 14 luglio 2003 del Comitato per il Controllo Interno di e.Biscom S.p.A. è stato richiesto, relativamente alle operazioni di vendita delle carte prepagate, un approfondimento di:
- aspetti contabili e civilistici
- aspetti generali e fiscali
Lavoro svolto:
- Incontri con i rappresentati delle società LBB e PTG (clienti inglesi)
- Incontro con i rappresentanti di WebWizard (Gruppo CMC fornitore italiano)
- Richiesta parere allo Studio Guido Rossi”.
Dunque il Comitato di Internal Audit compie due verifiche con i suoi manager “operativi”: la prima all’estero, a Londra (incontro con Jason Short del 17 luglio 2003); la seconda a Roma (incontri con Carlo Focarelli e Roberto Cristofori del 28 luglio 2003).
Di più. Nel documento viene riportata la richiesta del parere legale allo studio Guido Rossi e le sue conclusioni, sintetizzate in tre punti sono:
1) Qualche dubbio sulla connessione tra tipologia di transazioni e oggetto sociale (di Fastweb, ndr.);
2) Regolarità fiscale e corretta impostazione nel bilancio da cui no rischi particolari;
3) Raccomandata limitazione transizioni a importi marginali rispetto alle altre attività dell’impresa.
Insomma, è tutto a posto, è “tutto regolare”: è questo che riporta il Comitato di Internal Audit, presieduto da Carlo Micheli, al Cda il 29 agosto. Il quale Cda ne prende doverosamente atto. Va sottolineato il “doverosamente” poiché siamo di fronte ad una società quotata, dove pertanto le logiche di governance aziendale “devono”, e non soltanto possono, essere seguite.
Come si è visto dai documenti, soltanto sul punto 1 (“Qualche dubbio sulla connessione tra tipologia di transazioni e oggetto sociale”, ndr.) viene suggerito di predisporre “modifiche” statutarie all’oggetto sociale, proprio per regolarizzare ogni aspetto. Come poi fu effettivamente fatto, per decisione del Cda.
Ma se era tutto “regolare”, se dai controlli interni risultava tutto regolare, allora perché Silvio Scaglia è sotto processo?
Cosa emerge, in tal senso, dagli interrogatori di Scaglia? Cosa chiedono i PM? Lo vedremo alla prossima puntata. Compreso il “via libera” alla prosecuzione dell’attività delle prepagate dato dal presidente dell’Internal Audit, Carlo Micheli, con una mail.
Scaglia story by Vincino: la “governance” di Fastweb
Silvio Scaglia al GIP Morgigni (2 marzo 2010): “Io tipicamente non entravo mai nell’attività dei contratti, no: la mia responsabilità di Amministratore Delegato, nel momento in cui ero più operativo, ho sempre ritenuto che fosse quella di far sì che gli uffici di Fastweb non fossero, appropriatamente, coinvolti su tutti i contratti… ”.
Truffe Carosello: perché Scaglia “poteva non sapere” (2)
Dai verbali della riunione del Cda del 14 luglio 2003, agli atti dell’inchiesta, emergono altri particolari sulla “governance” in Fastweb. In particolare: perché venne deciso di condurre “approfondimenti” sulle carte prepagate (Phuncards) e venne bloccata la loro attività.
Dalle ricostruzioni fin qui svolte (vedi post del 21 settembre) sono emersi già tre elementi:
1) Scaglia seguiva le strategie generali di Fastweb non i singoli contratti;
2) Il Cda iniziò a occuparsi delle Phuncards solo nel 2003;
3) I controlli spettavano al Comitato di Internal Audit.
Cosa accadde dunque nell’estate del 2003? Occorre ripartire dal funzionamento del Cda.
Il 12 aprile 2010 Scaglia dichiara, infatti, ai magistrati:
“Il Cda funzionava sulle attività di controllo tramite il Comitato di Internal Audit che in quel momento (2003, ndr.)… quando ci è arrivata l’attenzione sulle carte prepagate (Phuncards, ndr.) era gestito da Carlo Micheli, no, era presieduto da Carlo Micheli (…) L’Internal Audit aveva un calendario di revisione e sistematicamente esplorava tutti i settori aziendali: questo calendario veniva presentato al Cda e poi implementato indipendentemente, sia per le verifiche che, sia per la definizione”.
PM Bombardieri: “Quindi cosa viene segnalato al Cda (…) a proposito delle carte prepagate?
Silvio Scaglia: “Il comitato di Internal Audit prima dell’estate o a inizio estate 2003 segnala delle criticità su questa attività (le Phuncards, ndr.), proprio perché nota che c’è stato un aumento dell’importanza delle carte prepagate. Tra l’altro il business delle prepagate (…) assorbiva cassa, perché Fastweb pagava l’IVA (…)”.
PM Bombardieri: “Quindi, se ho capito bene, la criticità che viene segnalata è quella di un… ”. PM Passaniti: “Di un problema di cassa, di una sofferenza di cassa… ”.
Silvio Scaglia: “È un problema di sofferenza di cassa, è un problema di crescita di un business che noi consideravamo ‘non core’. C’era poi un problema di atipicità rispetto all’oggetto sociale… per cui tutto questo insieme di cose segnala la necessità di un approfondimento del business”.
PM Bombardieri “Sulle carte prepagate”.
Scaglia ricostruisce i passaggi:
Silvio Scaglia: “Il Comitato di Internal Audit… informa il Cda (delle criticità, ndr.), viene bloccata momentaneamente l’attività (delle Phuncards, ndr.)… parte l’analisi (del Comitato di Internal Audit, ndr.) che ritorna al Cda con un documento importantissimo che vorrei riprendere”.
Il documento “importantissimo” di cui parla Scaglia è allegato agli atti dell’inchiesta come “Verbale del Comitato per il controllo interno di e.Biscom SpA” del 14 luglio 2003 alle ore 10.30 in Milano. L’ordine del giorno dice: 1) Modifiche di regolamento del Comitato, 2) Attività di Internal Audit. Ed è il secondo punto quello su cui concentrarsi.
Si legge infatti:
- “Il Presidente (Carlo Micheli, ndr.) informa che la funzione di Internal Audit, di recente creata all’interno del Gruppo, ha iniziato la propria attività effettuando, secondo quanto stabilito nella precedente riunione del Comitato, un’analisi dettagliata dei crediti, dei ricavi commerciali e dei fondi svalutazione crediti commerciali del Gruppo”;
- “Segue l’analisi svolta nel Comitato da Paolo Fundarò (manager ‘operativo’) che indica il seguente dato finale: ricavi da IRU (8%), ricavi da Premium numbers (13%), ricavi dalle vendite di carte prepagate (6%)”.
E si arriva così alle conclusioni del verbale: “Stante la rilevanza nell’ambito del business aziendale dei ricavi derivanti da tale attività, il Comitato ravvisa l’esigenza di effettuare un approfondimento circa possibili risvolti fiscali, contabili e civilistici”.
In seguito alla riunione del 14 luglio e in attesa degli “approfondimenti” il business delle prepagate (Phuncards) viene bloccato. A confermarlo è una mail (martedì 15 luglio, ore 10.03) scritta dall’Amministratore Delegato, Emanuele Angelidis, al Direttore generale, Alberto Trondoli, (e per conoscenza inviata anche a tutti i top manager) dove si legge: “Alberto, in attesa dello studio, blocca le attività commerciali in essere”.
Ricapitolando:
1) Il Comitato di Internal Audit segnala nel 2003 delle “criticità” di cassa sulle prepagate;
2) Si decide di condurre degli “approfondimenti” fiscali, contabili e civilistici;
3) L’attività viene bloccata dall’Amministratore Delegato di Fastweb.
Ma cosa produssero gli approfondimenti sulle Phuncards? Che indagini furono svolte? E cosa arrivò di queste indagini all’attenzione del Cda, ovvero di Scaglia? Lo vedremo nella prossima puntata.
Truffe Carosello: perché Scaglia “poteva non sapere” (1)
Dagli interrogatori e dai documenti agli atti dell’inchiesta una ricognizione a puntate sulla “governance” di Fastweb. Dove si delinea una “catena di comando” articolata su vari livelli manageriali, dotati di autonomia operativa e gestionale. E con un Comitato (Internal Audit) al quale spettava la responsabilità dei controlli.
Le vie della “truffa”, si sa, sono infinite. “E noi di Fastweb – come ha ribadito più volte Silvio Scaglia – siamo stati truffati”. Per l’esattezza, una doppia truffa (Phuncards e Traffico Telefonico) ben congegnata, al punto che gli stessi magistrati hanno dovuto impiegare oltre tre anni per decifrarne i meccanismi. “Una truffa fatta bene – insiste infatti Scaglia nei verbali – perché ci ha ingannato tutti: ha ingannato gli organi di controllo, perché i controlli ci sono stati”.
Nel corso dei vari interrogatori, soprattutto in occasione di quello del 12 aprile scorso, l’ingegner Scaglia ha illustrato con dovizia di particolari le modalità con cui questi controlli sono stati effettuati, nel rispetto della legge (o con rigore ancora maggiore), più il ricorso a perizie e consulenze affidate a professionisti di chiara fama esterni alla società. È una ricognizione, in sostanza, sui meccanismi della governance all’interno di una società per azioni quotata ove la supervisione avviene, come è ovvio, a più livelli di responsabilità.
Da questa ricognizione emerge che Scaglia, al vertice del Cda, si occupava di “strategie e non di contratti”. Ovvero, il presidente di Fastweb era a conoscenza delle attività di business svolte dalla società ma non del contenuto dei singoli contratti, demandati alla responsabilità operativa dei dirigenti “sul campo” per poi essere valutati nei vari aspetti da appositi organismi di controllo interni. Ogni operazione, perciò, dopo essere stata vagliata dai responsabili commerciali affrontava nell’ordine: il controllo dell’ufficio legale, di quello fiscale e di quello responsabile del controllo di gestione. Come l’ingegnere ripete ai pm: “Io non ho mai trattato personalmente contratti commerciali, il mio era un ruolo molto di Consiglio di Amministrazione”.
Dunque, contrariamente a ciò di cui viene accusato (associazione per frode fiscale, ndr.) il fondatore di Fastweb “poteva non sapere”. Quando infatti, nel 2003, vi furono richieste di “approfondimenti” sulla regolarità fiscale, civilistica e contabile dei contratti Phuncards, vennero svolte le opportune verifiche dal Comitato di Internal Audit su mandato dello stesso Cda. E solo in seguito a tali controlli, convalidati da una perizia legale di Guido Rossi, si decise di proseguire. Si tratta di un passaggio delicatissimo dell’inchiesta che può essere ricostruito passo dopo passo. Ma lasciamo spazio agli atti ufficiali, di cui pubblichiamo ampi stralci. A partire dal capitolo dedicato al ruolo e all’operatività effettiva di Scaglia in quanto presidente di Fastweb, all’epoca società con più di 3000 addetti.
Scaglia: “Mi occupavo di strategie e non di contratti”
1) Interrogatorio del 13 marzo 2007 (PM Passaniti, Di Leo)
Silvio Scaglia: “Il mio interlocutore in azienda era Emanuele Angelidis che diventa amministratore delegato con l’Assemblea di aprile del 2003. C’è una divisione dei compiti in azienda tale per cui si può affermare che c’era elevata autonomia operativa tra i settori; io mi occupavo anche di tutte le altre società del gruppo e.Biscom del quale stavo anche seguendo la dismissione”.
2) Interrogatorio del 2 marzo 2010 (GIP Morgigni)
GIP Morgigni: “I consulenti della società (esterni, ndr.) lei non li conosce, oppure non… non lo so, a volte li conosce, ma dipende dal livello?”.
Silvio Scaglia: “Io tipicamente non entravo mai nell’attività dei contratti, no: la mia responsabilità di amministratore delegato, nel momento in cui ero più operativo, ho sempre ritenuto che fosse quella di far sì che gli uffici di Fastweb non fossero, appropriatamente, coinvolti su tutti i contratti. Come ho già dichiarato (nel 2007, ndr.), un contratto veniva visto non solo dal commerciale che lo portava, ma poi veniva visto e analizzato dall’ufficio legale, dall’ufficio fiscale e dall’ufficio del controllo di gestione per valutare tutti gli aspetti di un contratto (…)”.
GIP Morgigni: “Ma io dico specifiche anche operative lei ne aveva oppure… commerciali… ?”
Silvio Scaglia: “Mi occupavo senz’altro più della strategia tecnologica e del garantire che i processi in azienda funzionassero bene (…)”.
GIP Morgigni: “Ma non capisco questo, se lo scopo era quello di controllare mese per mese che questo sistema aggregato rendesse dei profitti, immagino, perché poi alla fine (…) venivano date direttive ai dirigenti per trarre questi profitti, suppongo, in maniera lecita ma venivano dati dico, cercando di impegnarli, per, non lo so, raggiungere degli obiettivi”.
Silvio Scaglia: “Beh, ben più di questo, c’era un’organizzazione aziendale, c’erano delle competenze aziendali, c’era chi era responsabile di vendere alle famiglie, chi era responsabile di vendere alle imprese, chi era responsabile di vendere invece agli operatori, c’era un’organizzazione di controllo (Internal Audit, ndr.) (…)”.
3) Interrogatorio del 12 aprile 2010 (PM Capaldo, Bombardieri, Di Leo e Passaniti)
PM Di Leo: “A livello di Fastweb, lei partecipava a riunioni in cui si verificava in concreto l’andamento, che so, della progressione dello sviluppo della rete, dell’aumento del numero dei clienti, del fatturato, ricavi, margini, ‘come stiamo andando’ (…)?”.
Silvio Scaglia: “In Fastweb io operavo principalmente tramite il Consiglio di Amministrazione, Fastweb poi aveva un comitato direttivo in cui avvenivano questo tipo di dinamiche”.
PM Di Leo: “Perfetto. E lei partecipava mai a questo comitato direttivo?”.
Silvio Scaglia: “Io non partecipavo al Comitato, non ero membro e non partecipavo al Comitato direttivo (…)”.
Scaglia: “Il Cda cominciò a occuparsi delle Phuncards solo nel 2003”
Proseguendo nelle risposte ai pm, Scaglia ricostruisce come venivano prese le decisioni aziendali sul budget da comunicare al mercato: un percorso dal “basso in alto e viceversa”, fino a quando non si raggiungeva il pieno accordo sugli obiettivi. Ma veniamo ai verbali:
PM Di Leo: “(…) in questa prima fase (2001-2003, ndr.) gli obiettivi di piano industriale, gli obiettivi di budget, sia interni sia quelli da comunicare al mercato, come venivano determinati?”.
Silvio Scaglia: “C’era un processo di budget… ed è tutto documentato (…). Il processo di budget nasceva prima di tutto bottom up, nel senso che a livello operativo si cominciavano a consolidare degli obiettivi, arrivavano al comitato direttivo (cioè salivano di livello, ndr.), se non andavano bene tornavano giù… un normalissimo percorso, come succede da sempre in ogni azienda (…) quando si trova l’accordo viene portato al Cda, viene discusso e in genere approvato… quando si arrivava lì… io avevo avuto qualche contatto, magari prima, con Angelidis e sapevamo che eravamo arrivati a un livello di accettabilità del budget, sia per le linee operative che dal punto di vista del vertice (…). Una cosa importante, di solito quello che approvavamo come budget era un po’ inferiore rispetto all’obiettivo operativo delle linee, cioè… ”.
PM Di Leo: “Cioè nella comunicazione al mercato?”.
Silvio Scaglia: “Sì, il budget ufficiale, che era quello che poi veniva comunicato al mercato, era un pochino più conservativo rispetto agli obiettivi che poi avevano le prime linee”.
Chiariti questi aspetti i PM cominciano a chiedere a Scaglia come funzionavano le tre aree principali dell’azienda: Retail, Corporate e Wholesale. In particolare su quest’ultima, in relazione all’attività della carte prepagate (Phuncards).
Silvio Scaglia: “C’è una cosa molto importante che vorrei dirvi”.
PM Bombardieri: “Dica, dica”.
Silvio Scaglia: “Fastweb, a livello di Consiglio di Amministrazione, ha iniziato ad occuparsi del business delle Phuncards, insomma le carte prepagate, nell’estate del 2003, quando il comitato di Internal Audit incomincia a segnalare delle criticità, criticità legate al fatto che stava prendendo una certa dimensione… ”.
PM Bombardieri: “Infatti… lei ha detto che il Cda si interessa nel 2003”.
Silvio Scaglia: “Sì, nell’estate del 2003, il Cda si interessa del… ”.
PM Bombardieri: “Del Wholesale… ”.
Silvio Scaglia: “No, delle carte prepagate… allora come funziona il Cda in sé, funziona per comitati, aveva un Comitato di controllo interno, presieduto da Carlo Micheli… di cui credo che sia indubbia l’indipendenza rispetto a me…. era lui che presiedeva questo comitato ed era lui che attraverso l’arma più importante di controllo in azienda, che è il gruppo di Internal Audit, aveva disponibilità… ”.
Ricapitolando:
1) Scaglia seguiva le strategie non i singoli contratti;
2) Il Cda iniziò a occuparsi delle Phuncards solo nel 2003;
3) I controlli spettavano al Comitato di Internal Audit.
Ma cosa accadde esattamente nell’estate del 2003? Lo vedremo alla prossima puntata.
“Silvio Scaglia? Mai conosciuto”. Coro di smentite alle domande dei pm.
Dalla lettura dei verbali degli interrogatori arrivano altre conferme sulla estraneità del fondatore di Fastweb alle “truffe telefoniche”.
“Senta, volevo capire una cosa, lei ha mai sentito parlare di Silvio Scaglia?”. Eccola la domanda tormentone che si aggira nei verbali degli interrogatori dell’inchiesta Telecom Sparkle – Fastweb. Ricorre spesso, anzi sempre, quando a dover rispondere ai pm sono gli indagati “esterni” all’azienda. Persone che – secondo l’accusa – hanno agito a vario titolo (e con responsabilità diverse) nelle truffe “Phuncards” e “Traffico Telefonico”, ma che non avevano un rapporto diretto di lavoro, tantomeno dipendente, con Fastweb. E infatti, tra costoro, non lo conosceva nessuno. Magari di Silvio Scaglia ne avevano sentito parlare, ma soltanto perche era “famoso”. Niente di più.
La prima smentita di peso (di cui si è già riferito sul blog), è quella che arriva da Carlo Focarelli, considerato dagli inquirenti la “mente” dell’intera operazione “Phuncards” e poi “Traffico telefonico”. Alla domanda del pm Di Leo, segue risposta netta e fin polemica di Focarelli: “Scaglia non l’ho mai incontrato in vita mia, chiariamo subito, cosi almeno ci togliamo quel tipo di… ”.
Una tesi, del resto, confermata dai legali di Silvio Scaglia, in sede di interrogatorio di garanzia (2 marzo 2010) quando chiedono di mettere a verbale in riferimento a Focarelli: “era un consulente esterno che ha avuto rapporti con qualche dirigente, non ad alti livelli della società e non con Scaglia”.
Ma il copione della domanda-tormentone si ripete con un altro degli arrestati di rilievo, Antonio Ferreri, imprenditore, ex amministratore nelle società Webwizard e Cmc che fornivano servizi a Fastweb. Risponde Ferreri alla domanda se ha mai conosciuto Scaglia “… di nome, ma solo di nome, non l’ho mai conosciuto, mai visto, mai sentito neanche al telefono, Scaglia Silvio, ma solo di nome”. Segue altra domanda del pm: “che vuol dire “solo di nome”? Ferreri: “Per fama, è stato uno dei più grandi, maggiori azionisti della Fastweb”.
Nella lista c’è poi Alessandro Cionco, socio unico della New Success Hong Kong Ltd, una delle società attorno a cui sarebbe gravitata parte del denaro “truffato”. Si leggono nel verbale le parole del magistrato: “… siccome stavate tutti al Mandarin (locale notturno, ndr.), perché questo Mandarin pullulava di persone che stanno in quest’ordinanza; prima cosa Silvio Scaglia l’ha conosciuto? Le hanno detto chi è?”. Risposta di Cionco: “No”.
Altrettanto dichiara Maria Olga Francesca Carmine-Tessa, moglie di Paolo Prinzi, titolare della società Euram Finance, accusato di riciclaggio. La donna è chiamata in causa dai magistrati perché si sarebbe prestata a chiudere conti correnti relativi a denaro riconducibile ai familiari. Stavolta a fare le domande è il gip Aldo Morgigni: “Senta, volevo capire una cosa: lei ha mai sentito parlare di (…) e di un signore che si chiama Silvio Scaglia? Risposta di Francesca Carmine: “… Neanche”.
Ed è sempre il gip Morgigni a chiedere di Scaglia a Maurizio Laurenti, titolare della Accord Pacific Limited di Hong Kong, accusato di aver riciclato denaro ricevuto dalla Globestream Tlc. Questi i passaggi del verbale:
Morgigni – “Il discorso è questo: a livello umoristico e di battute, ma è possibile che Focarelli non ha mai fatto riferimento alla posizione Scaglia, manco con uno scherzo?”.
Laurenti – “Scaglia?”.
Morgigni - “Eh”.
Laurenti - “Ma non so nemmeno chi sia. Guardi, le garantisco, non so nemmeno chi sia”.
Morgigni - “Il discorso è questo: se cosi stanno le cose”.
Laurenti – “Ma io l’ho visto in televisione che è quello con la faccia tonda che è tornato da… da dove?”.
Legale - “Dalle Antille”.
Laurenti – “Ma io non so nemmeno chi sia”.
Morgigni - “Focarelli le disse, diciamo che non è automatismo questo, perché altrimenti basterebbe presentarsi… pensi che c’è pure una norma di legge che lo dice, che non basta la presentazione per escludere le responsabilità proprio per questo”.
Laurenti – “Poteva stare li con tutti i soldi che ha. Comunque non l’ho mai visto, mai conosciuto, mai sentito”.
Infine tocca a Nathalie Madeleine Dumesnil, arrestata con l’accusa di avere movimentato milioni di euro con operazioni finanziarie tra Europa ed Estremo oriente. Domanda: “(…) E tale Silvio Scaglia lo ha mai sentito? E Riccardo Scoponi? E Marco Toseroni?”. Lapidaria la risposta della Dumesnil: “Marco Toseroni sì”.
A caccia di gravi indizi (2)
Scaglia risiede a Londra, il luogo dei delitti
Tra “i gravi indizi” all’origine della convalida dell’arresto figura il fatto che “lo Scaglia è residente a Londra dove hanno sede alcune società utilizzate per la triangolazione nonché i soggetti di nazionalità britannica impiegati come “prestanome”. Indizio assai labile, anche perché l’ingegnere risiede a Londra dal febbraio del 2007, ovvero in epoca successiva alla “truffa carosello”.
Di Girolamo patteggia con il pm Capaldo: 5 anni e 4,7 milioni per uscire dal carcere
L’ex senatore Nicola Di Girolamo, coinvolto nella “truffa carosello” esce dal processo che, dal 2 novembre, coinvolgerà anche i manager di Fastweb e di Telecom Italia Sparkle
Di Girolamo, ha concordato con la Procura di patteggiare una pena di 5 anni e di restituire 4 milioni e 700mila euro, provento dell’attività di riciclaggio a lui destinato. Nel pomeriggio di venerdì 17 settembre, su richiesta del pool di magistrati guidati dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, Di Girolamo ha così lasciato il carcere romano. A firmare il provvedimento è stato il giudice delle indagini preliminari Maria Luisa Paolicelli. Non sarà lei però a stabilire se il patteggiamento concordato dall’ex senatore con la Procura di Roma è adeguato ai fatti contestati bensì un altro GIP che dovrà determinare la pena per l’ex senatore.
A Caccia di gravi indizi
Scaglia investe in Cina. Ed è pure stato ad Hong Kong…
L’ingegnere Scaglia, da quanto si legge nell’ordinanza di convalida dell’arresto, “disponeva di almeno un conto corrente ad Hong Kong dove terminava l’operazione di riciclaggio”. In realtà, come da lui spiegato nel corso dell’interrogatorio, nel 2009 (ben dopo i fatti contestati) Scaglia ha acquisito il controllo di Gold Typhoon, l’Emi cinese (“Lei conosce l’Emi?”, domanda al gip Morgigni lo stesso Scaglia) che possiede, come è ovvio, un conto corrente. O probabilmente più d’uno. Da rilevare che, da febbraio ad oggi, gli inquirenti, che pure hanno effettuato indagini in mezzo mondo, non hanno cercato la testimonianza di Norman Cheng, manager ed azionista di Gold Typhoon.
Vivere a Londra? Un grave indizio. Così ha sostenuto il gip.
Cronaca di una inchiesta con tanti pregiudizi. E paradossali indizi
Vivere a Londra può costituire un “grave indizio” di colpevolezza? A quanto pare sì, se ci si chiama Silvio Scaglia e si finisce sotto la lente del gip Aldo Morgigni (in seguito “estromesso” dal ruolo con il rientro del giudice naturale Paolicelli), il quale nel ravvisare i “giustificati motivi” per tenerlo in carcere dopo il suo immediato rientro dall’estero, ha utilizzato come pezza d’appoggio anche la motivazione della residenza inglese del fondatore di Fastweb.
Si legge, infatti, nelle motivazioni per la convalida dell’ordinanza di custodia cautelare che: “Lo Scaglia è residente a Londra (UK) dove hanno sede alcune delle società utilizzate per la triangolazione nonché i soggetti di nazionalità britannica impiegati come “prestanome”. L’argomento, in sé, è ineccepibile. Ma da questo a dedurre che esista un nesso tra la residenza di Scaglia nella capitale del Regno Unito e il fatto che gli autori della truffa abbiano scelto di far “partire” l’operazione truffaldina da Londra ce ne corre. Anche perché le date non corrispondono.
Dati alla mano, Silvio Scaglia si trasferisce a Londra l’8 febbraio del 2007, come dimostra l’iscrizione all’A.I.R.E., ovvero il Registro dei Residenti Italiani all’Estero. Ben dopo l’esaurimento degli effetti della “truffa carosello”, a giudicare dalle risultanze dell’inchiesta. Non si è trattato, si badi bene, di un trasferimento “fittizio”, motivato da ragioni fiscali. Bensì di un trasferimento effettivo della famiglia Scaglia, motivato dalla volontà di seguire da vicino gli studi delle figlie dell’ingegnere, alla vigilia del loro percorso universitario. In quei mesi, del resto, entrava nel vivo l’operazione di cessione di Fastweb a Swisscom, resa pubblica il 12 marzo con l’annuncio dell’OPA della società svizzera. E Scaglia già aveva in cantiere nuove tappe della sua esplorazione professionale nei nuovi media, a partire da Babelgum, nella convinzione che Londra fosse la piattaforma ideale per il varo di iniziative multimediale di portata almeno europea, se non globale, ovvero un “hub” privilegiato per dare il via a nuove strategie di business nel settore.
Considerazioni che poco contano agli occhi del gip: a suo avviso Londra non è un centro finanziario di dimensioni internazionali, ma un porto/aeroporto di dubbia reputazione.
Scaglia, l’avventura cinese. E i “forti sospetti” del Gip.
Cronaca di un’inchiesta fatta di labili indizi (e molti pregiudizi)
In più di un’occasione, in questi mesi, si è parlato dei “gravi indizi” addotti, fin dopo l’interrogatorio del 2 marzo scorso, dal gip Aldo Morgigni per giustificare il regime di custodia cautelare per Silvio Scaglia. Da oggi, sulla base degli atti dell’inchiesta (compreso l’interrogatorio del 12 aprile, l’unico finora reso dall’ex presidente di Fastweb ai pm) proviamo ad affrontare la natura dei gravi indizi. A partire dal più esotico.
Già, nelle motivazioni con cui il Gip respinse la richiesta di libertà provvisoria di Scaglia (fatte poi proprie dal Tribunale della libertà) spicca il fatto che “Lo Scaglia ha dichiarato di essere proprietario del 51% delle quote o azioni della Sms Finance, società lussemburghese amministrata dal socio (al 49%) Wang Norman, residente in Taiwan”.
“Detta società – si legge nelle motivazioni – sarebbe impegnata, asseritamente, nell’acquisto di diritti d’autore di opere musicali cinesi ed avrebbe un conto corrente in Hong Kong, città nella quale lo Scaglia si sarebbe recato per periodi brevissimi (due o tre giorni) senza che risulti alcuna attività commerciale compiuta. Su tale conto… sarebbero state compiute operazioni fino ad un mese prima dell’arresto”. Di qui a sospettare che “gli indizi a carico dello Scaglia siano rafforzati” il passo è breve: “il suddetto, residente a Londra, da dove “partiva” l’operazione, disponeva di almeno un conto corrente ad Hong Kong, dove terminava l’operazione di riciclaggio”. Insomma, un imprenditore che elegge come residenza Londra ed intende operare in Cina, è comunque sospetto.
Scaglia: Scusi, Dottore, ma lei conosce la Emi?
Di fronte a questa lettura dei fatti, già nell’interrogatorio del 12 aprile scorso, Scaglia ha voluto correggere la trascrizione dell’interrogatorio dal quale risultava che “l’amministratore di Sms fosse un certo Norman Chang, amministratore in realtà di Gold Typhoon”. “Gold Typhoon – precisa poi l’ingegner Scaglia – è una primaria società di musica in Cina, la seconda per dimensione. Prima era la Emi China, Hong Kong, Taiwan comprata da Norman Chang che era il manager di Emi in Asia. Noi abbiamo rilevato il 51 per cento da Norman Chang proprio all’inizio del 2010”. Perciò ”essendo Golden Typhoon una società di notevoli dimensioni e con presenza ad Hong Kong, Pechino, Taiwan, Shangai, ha sicuramente diversi conti in Cina”. Quindi, interviene il pm, la partecipazione del 51 per cento riguarda la controllata e non la controllante: “Esatto. E Norman Chang non è amministratore di Sms Finance (controllata al 100 per cento da Scaglia e dalla moglie Monica, ndr) ma di Golden Typhoon”.
Parla il manager del “Tifone d’oro”: Scaglia, innovatore anche in Cina
Proviamo ad inquadrare il “Tifone d’oro” nella cornice del mercato musicale più promettente del pianeta, con l’ausilio dei manager della società acquisita da Scaglia con l’obiettivo di acquisire il controllo di contenuti da distribuire sia in Cina che altrove.
Qual è la dimensione del mercato della musica in Cina? E qual è stata la crescita degli ultimi anni?
Il mercato tradizionale, quello di cd ed album, è in costante, seppur modesto, calo a causa della concorrenza delle copie pirata. Al contrario, il mercato della musica “non tradizionale”, soprattutto con i media digitali (mobile o streaming sulla rete) è in crescita esponenziale: tra il 40 ed il 70 per cento ogni anno, tra il 2004 ed il 2008.
Come si colloca Golden Typhoon rispetto alla concorrenza?
È una delle società leader: attualmente è al quarto posto nella classifica delle vendite di album nella Grande Cina (che comprende anche Taiwan ed Hong Kong). Ma occupa la seconda posizione nelle vendite digitali ed è leader nella gestione degli artisti, compreso il licensing e i concerti.
È un plus o un limite la presenza di un grande azionista occidentale come Silvio Scaglia?
La combinazione tra azionisti locali ed internazionali è senz’altro un grosso vantaggio. Primo, rende più facile il contatto con artisti occidentali in vista di concerti sempre più apprezzati dal pubblico locale. Secondo, è un trampolino per la diffusione dell’opera degli artisti cinesi nel resto del mondo, dove ci sono forti comunità di lingua cinese. La nostra strategia attuale punta in particolare allo sviluppo dell’area eventi”.
Può dare una misura delle vendite per canale di distribuzione?
Possiamo distinguere 5 aree. La gestione dei concerti rappresenta il 29% del nostro fatturato contro il 20 delle vendite digitali. Seguono le vendite di dischi e cd, con il 19% e subito dopo, con il 18%, gli introiti da concerto. Infine, il licensing vale il 12 per cento dell’attività. Va rilevato che, ormai da diversi anni, il trend di crescita per suonerie, musica diffusa via smartphone o comunque in forma digitale, cresce nell’ordine del 50 per cento annuo.
Golden Typhoon è un competitor tradizionale. Oppure, com’è sempre accaduto nelle imprese di Silvio Scaglia, ci sono innovazioni di prodotto?
È senz’altro la prima società che, in Cina, gestisce a 360 gradi l’intera attività artistica di un cantante. Ed è stata senz’altro la più rapida ed aggressiva a concentrare le sue attenzioni dalle vendite tradizionali, via punti vendita fisici, al resto del business: digitale, licensing, concerti dal vivo.
Chissà se anche questo è fonte di “forti sospetti”. Sicuramente nessuno si è degnato di verificare direttamente con il signor Norman Chang lo stato delle cose.