Fattore Umano | Massimo Comito: «Pare assurdo, ma bisogna riabituarsi alla libertà»
L’ex manager di TIS al blog: «Ho un presente incombente da affrontare, passo dopo passo». E aggiunge: «Resta l’amarezza di avere subito un licenziamento “pubblico” e “sbrigativo” dall’azienda per cui ho lavorato per vent’anni… Per fortuna ho una splendida famiglia»
Ingegner Comito, l’aria della “libertà” dopo un anno. Le emozioni, i pensieri…
Senza retorica, è come imparare nuovamente a scrivere o perfino a parlare. Si figuri che i primi giorni li ho trascorsi a passeggiare per ore nei pressi di casa, a guardare le vetrine dei negozi come fosse la prima volta. È una lenta presa di coscienza, pare assurdo ma bisogna “riabituarsi” ad essere liberi. Una volta, soprapensiero, mi sono ritrovato in preda al panico all’idea di dover affrettare il ritorno a casa per chiamare la stazione dei carabinieri e comunicare il mio rientro. Come quando agli arresti domiciliari tornavo dalle udienze e telefonavo ai miei controllori. Fortunatamente è una condizione d’animo transitoria, man mano che i giorni passano la situazione si va normalizzando. Non vorrei però dimenticare: le sensazioni iniziali dell’aria sulla faccia, quel che significa aver perso la liberta di uscire per strada, e poi sentirsi di nuovo libero da costrizioni come quelle subite durante questo terribile anno.
Cosa resta dentro?
Come dicevo, porto con me da questa esperienza il desiderio di concentrarmi il più possibile su quanto ho vissuto, mantenendo vive nella mente le splendide sensazioni provate nei primi giorni di libertà. In carcere qualcuno mi diceva “vedrai, fra qualche anno non ricorderai nemmeno la cella in cui hai vissuto per mesi”, ma non credo sia il modo migliore per reagire. Piuttosto penso che, senza farmi troppo male, il ricordo di questo periodo mi darà la forza di affrontare al meglio il futuro. Anche se il mio futuro non riesco ancora a delinearlo, mi appare del tutto incerto.
Cosa può dire del carcere? La dimensione del quotidiano…
Sembrerà strano ai “benpensanti”, fra i quali annovero anche me prima dell’arresto, ma ho trovato tanta umanità fra i detenuti e fra i volontari, che operano a supporto di chi cerca conforto. Purtroppo, non posso dire altrettanto degli… operatori stipendiati. In carcere ho letto tanto e non ho disdegnato, anzi mi hanno aiutato molto, i rapporti con persone che mai avrei immaginato potessero essere così disponibili all’ascolto e a dispensare consigli di “sopravvivenza quotidiana”. Consigli senza i quali la vita dietro le sbarre diventa terrificante, specie per persone che hanno fatto dell’onestà il riferimento della propria vita. Approfitto di questa occasione per ringraziare i tanti amici e conoscenti che hanno avuto il pensiero di scrivermi, donandomi una delle poche gioie quotidiane della vita in carcere, e cioè il ritiro della posta consegnata dalle guardie a noi detenuti messi dietro le sbarre del cancello di accesso alla sezione, ogni giorno alle 16, domenica e festività escluse.
Prima le sbarre, poi i domiciliari, cosa è cambiato?
Si passa dalla cella al “carcere domestico”: il passo è ovviamente semplice, ma non nascondo che trascorsi i primi giorni di grande euforia per la ritrovata fisicità dei propri affetti, lo stato mentale di detenuto si è ripresentato in tutta la sua evidenza e i controlli, anche quattro al giorno, notte inclusa, hanno contribuito a tenerlo ben desto.
La sua famiglia ha resistito?
La mia famiglia è riuscita a superare gli effetti di questo terremoto, in forza dei valori sui quali mia moglie ed io l’abbiamo costruita; quanto ai conoscenti in parecchi mi hanno detto “se è successo a te, può succedere a tutti”. A pensarci bene è terribile…
Diceva prima del futuro, vede solo incertezza?
Ho ancora un presente incombente da affrontare, passo dopo passo. E per tutela mentale mi pongo solo obiettivi di breve termine. Resta l’amarezza di avere subito un licenziamento “pubblico” e “sbrigativo” dall’azienda per cui ho lavorato per vent’anni… Per fortuna ho una splendida famiglia, mia moglie instancabile lavoratrice, senza la quale non potrei nemmeno stare a rispondere alle sue domande, se non altro perché non avrei neanche i soldi per la quotidianità. E mio figlio, studente al liceo: un pezzo del cuore, come si dice.
Ha ancora fiducia nella giustizia?
Questa assurda esperienza ha ingenerato in me, e nella mia famiglia, l’orrenda sensazione di vivere in una società basata su un matrimonio di “reciproco interesse” fra il sistema e i giornalisti, con un rapporto di causa-effetto talvolta non delineato, e per questo fonte di terribile dibattito politico. È un circolo vizioso che contribuisce a rendere il sistema giudiziario, ed in particolare l’uso della custodia cautelare che cattura l’occhio peloso della pubblica opinione, quanto di più insensibile ci possa essere verso un essere umano: in nome della visibilità e di interessi professionali ci si dimentica che dietro la “semplice” carcerazione di un presunto innocente si finiscono per condannare anche mogli, genitori e figli, piccoli o grandi che siano. Una condanna che si abbatte sulle loro esistenze, sconquassa la vita e può disperare profondamente.
Io, che pure non sono certo amico d’infanzia di Massimo Comito (al pari di Silvio Scaglia, Stefano Mazzitelli e antonio Catanzariti), sono altrettanto certo della sua buona fede ed innocenza, ma dalla semplice lettura delle “carte processuali”. Buona Pasqua (e pasquetta, nonostante la pioggia) a lui e a tutti coloro che sono stati ingiustamente accusati ed altrettanto ingiustamente vessati.
Massimo,
ti faccio i miei migliori auguri.
Maurizio Brugnaletti
Conosco Massimo da quando eravamno bambini, e non conosco le accuse che gli sono state mosse.
Ma so che è una gran persona per bene.
E, anche se non lo vedo da alcuni anni, sento forte il dolore che c’è nelle sue parole. Vorrei dirgli che gli sono sinceramente vicino e che tiferò per la sua completa assoluzione.