Carceri: si allarga la protesta


Rifiuto del cibo e posate sbattute contro le sbarre. Il disegno di legge “autoprodotto” dai detenuti di Regina Coeli e i messaggi via web delle mamme dei “ristretti”. Oggi Rita Bernardini, deputata radicale, in visita ispettiva all’Ucciardone di Palermo


Tra gli ultimi ad aderire ci sono anche i detenuti del carcere di C del Ferro di Cremona: rifiuto del cibo e posate sbattute contro le celle, da giorni. La protesta, iniziata circa una settimana fa, coinvolge ormai numerosi penitenziari italiani e riguarda non soltanto i “ristretti” ma anche i loro familiari, numerosi agenti di custodia e perfino alcuni direttori degli istituti di pena.


Ci sono pure mamme di detenuti che aderiscono alla protesta lanciando messaggi via web; ad esempio da Torre del Greco: «I miei ossequi all’operato di Pannella, per il suo ennesimo sciopero della fame, ce ne fossero tanti come lui». Firmato «una mamma che ha denunciato suo figlio». Già, perché è stato Marco Pannella a dare il via a questa “agitazione”, iniziando un digiuno circa un mese fa «affinché l’Italia torni ad essere una democrazia», ma sopratutto «contro le inumane e non più accettabili condizioni in cui vivono i detenuti». Uno sciopero che ha contagiato l’intero universo carcerario italiano.


Del resto i numeri sono impietosi: circa 68mila detenuti (il record della storia della Repubblica) a fronte di una capienza ufficiale che non supera i 45.543, nessuna soluzione a breve del sovraffollamento disumano, salvo il richiamo del ministro Alfano a “nuove carceri” che dovrebbero essere realizzate nei prossimi due anni per “contenere” altre 9mila persone. Ma nessuno è in grado di dire se, se frattempo, ad entrare in galera non vi sarà un numero di detenuti ancora maggiore. Insomma, si insegue l’emergenza. A riprova valga il risultato pressoché nullo dello sbandierato provvedimento “svuota carceri” di qualche mese addietro, in seguito al quale sono usciti poco più di mille detenuti, finiti spesso ai domiciliari, ma valutato senza giri di parole un “fallimento” anche dagli organismi di rappresentanza dei direttori degli istituti e degli agenti carcerari.


Eppure si potrebbero fare molte cose, senza pensare solamente a nuove carceri.  A dirlo sono gli stessi detenuti di Regina Coeli, che nei giorni della protesta hanno prodotto un “loro” disegno di legge inviato dal Garante per i diritti dei detenuti della Regione Lazio, Angiolo Marroni, al Presidente del Consiglio e alle più alte cariche dello Stato. In totale quattro semplici articoli per garantire più speditezza ai processi penale e l’accesso a misure alternative al carcere, ma soltanto per i detenuti in grado di “meritarlo”, senza – scrivono – «nessuna indulgenza». Obiettivo: far entrare in prigione meno gente, allo scopo di garantire condizioni di vita meno disumane per chi ci deve restare. E ripristinare le “misure alternative” che risultano in calo del 75% dal 2005.


Tra le carceri in “sciopero della fame” ci sono, tra gli altri, Roma (Rebibbia e Regina Coeli), Agrigento, Cagliari, Vercelli, Velletri, Milano (Opera e San Vittore), Imperia, Ancona, Prato, Ariano Irpino, Venezia, Alessandria, Lanciano, Genova (Marassi). Ma la lista potrebbe continuare.


Tra le altre proposte, i Radicali chiedono esplicitamente un provvedimento di “amnistia” che superi davvero l’emergenza, sottolineando che amnistie vere non se ne fanno da vent’anni. «Affinché – si legge in un documento – si ponga fine all’illegalità delle carceri italiane e di una giustizia sopraffatta e bloccata da milioni di processi arretrati che danno origine all’irresponsabile amnistia illegale di 170mila prescrizioni l’anno». Anche per questo oggi la parlamentare radicale Rita Bernardini sarà in visita ispettiva al carcere dell’Ucciardone di Palermo, dopo un’assemblea tenuta ieri sera che ha coinvolto operatori penitenziari, istituzioni cittadine e familiari dei detenuti.


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