Fattore Umano | Carceri: stato di emergenza continua (1)

Alessio Scandurra: «Da due anni è stato dichiarato lo stato di emergenza per il sovraffollamento, ma fino ad oggi non si è visto nessun risultato tangibile»


Il 16 maggio scorso il DAP ha autorizzato Antigone a proseguire anche per quest’anno la sua attività di monitoraggio delle carceri italiane. Nel report Carceri nella illegalità gli esiti delle prime visite: il sovraffollamento, le condizioni di vita dei detenuti e quelle di lavoro degli operatori, la mancanza di risorse e la politica che non sa dare risposte. Uno stato di emergenza dichiarato da due anni «ma fino ad oggi non si è visto nessun risultato tangibile». Ne parliamo con Alessio Scandurra, presidente di Antigone Toscana e membro del comitato direttivo della Associazione Antigone


Cosa si può fare per riportare alla “legalità” le carceri italiane?

Le cause del sovraffollamento del nostro sistema penitenziario sono ormai chiare da tempo. Oggi, ad esempio, i dati presentati nel Green Paper della Commissione europea sulla applicazione della giustizia penale nel campo della detenzione evidenziano infatti come l’Italia abbia il sistema penitenziario più sovraffollato d’Europa, secondo solo alla Bulgaria, ma mostrano anche come abbiamo la più alta percentuale di detenuti in attesa di giudizio, la più alta percentuale di detenuti per reati previsti dalla legge sulle droghe, ed una delle più alte percentuali di detenuti stranieri. Le cause del sovraffollamento sono evidenti. Un ricorso abnorme alla custodia cautelare, diventata una anticipazione di pena da applicare a furor di popolo, una normativa sulle droghe che produce una carcerazione di massa di piccolo spacciatori e di tossicodipendenti, ed una normativa sugli stranieri che produce marginalità ed illegalità. Sono questi i temi su cui è urgente intervenire.


Negli ultimi giorni c’è stata una forte risposta allo “sciopero nonviolento” di Pannella. Siamo a un punto di svolta?

Si tratta certamente di un fatto importante. Indulti ed amnistie sono stati il motivo principale per cui la popolazione detenuta, fino agli anni ‘90, non ha mai superato le 45.000 presenze.  Dal 1992 è cambiata la maggioranza parlamentare necessaria per la loro concessione, elevata ai due terzi, rendendo questi provvedimenti molto difficili da approvare. Ed è cambiata anche la sensibilità dell’opinione pubblica, rendendoli più difficili da promuovere. Eppure, in assenza di una politica penitenziaria degna di questo nome, un provvedimento generalizzato di clemenza è oggi l’unica misura in grado di riportare il sistema penitenziario nella legalità costituzionale ed internazionale. Come dice Pannella, un provvedimento di giustizia sostanziale reso necessario dal fallimento della giustizia formale. Come dicono i fatti, anche se può non essere la migliore delle misure per uscire da questa crisi, c’è da dubitare che questo governo possa fare di meglio.


Antigone tramite il Difensore civico ha avviato una campagna per sostenere i detenuti che vogliono denunciare le condizioni delle carceri in cui sono reclusi. Un percorso difficile?

Sì, si tratta di un percorso difficile. L’idea di ricondurre il sistema penitenziario alle regole ed alle norme che lo disciplinano sembra ovvia, ma non lo è affatto. Nonostante le molte regole del carcere, i detenuti spesso non hanno “veri” diritti, la cui violazione possa essere denunciata davanti ad un giudice. Per quanto sembri incredibile le inumane condizioni di detenzione che vengono quotidianamente riferite al nostro difensore civico non possono essere portate davanti ad una corte nazionale. I detenuti non hanno il diritto a non essere stipati come sardine, a non soffocare per il caldo o a non restare chiusi in cella tutto il giorno. Non lo hanno mai avuto, e far passare l’idea che questo diritto possa invece essergli riconosciuto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, che nessuno sa cosa sia o dove si trovi, non è ovviamente cosa semplice. Eppure i ricorsi alla corte arrivano a centinaia, da tutta Italia. È difficile dire se siano pochi o molti. È lecito sperare che siano abbastanza perché all’Italia si intimi di porre fine a questa situazione.



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