Fattore Umano | Tanti detenuti, poco lavoro


In un Dossier di Ristretti le statistiche e proposte di legge in materia di «lavoro penitenziario», dove emerge che le risorse sono scarse, e il diritto-dovere di lavorare per chi è condannato non viene rispettato


«Il lavoro è obbligatorio per i condannati e per i sottoposti alle misure di sicurezza (…)» (art. 20, c. 3, O.P., Legge n° 354 del 1975). L’obbligatorietà del lavoro dei detenuti, elemento cardine del trattamento penitenziario e «strumento privilegiato» diretto a rieducare il detenuto e a reinserirlo nella società, rischia di venire meno.


La causa? La carenza di risorse economiche. Negli ultimi 5 anni, infatti, i fondi messi a disposizione per retribuire i detenuti-lavoratori sono diminuiti del 30,5%. I dati forniti dal DAP parlano chiaro: dai 71.400.000 euro del 2006 ai 49.664.000 euro del 2011. Una diminuzione di risorse che ha portato inevitabilmente alla contrazione della popolazione carceraria lavorante, con la conseguente rinuncia da parte dei detenuti al loro diritto-dovere di lavorare. Lo scorso anno gli “occupati” alle dipendenze di cooperative o imprese esterne rappresentavano solo il 20,4% della popolazione detenuta. E ciò, nonostante le agevolazioni contributive e fiscali per chi assume detenuti introdotte nel 2000 dalla Legge 193, la cosiddetta «Smuraglia» e malgrado la concessione di numerose commesse per la realizzazione di elementi di arredo delle nuove strutture previste dal «Piano Carceri». Insomma, gli sforzi e gli incentivi non sono bastati.


Ma andiamo oltre. Il nostro Ordinamento Penitenziario recita: «Il lavoro penitenziario non ha carattere afflittivo ed è remunerato», in accordo con quanto detta l’art. 27 della Costituzione sulla finalità rieducativa della pena. Ed è così. In effetti il lavoro alle dipendenze del DAP viene retribuito avendo come riferimento economico i Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro di vari settori, in misura non inferiore ai 2/3 del trattamento previsto nei contratti stessi, così come indicato nell’art. 22 dell’Ordinamento penitenziario. Tuttavia – si legge nel Dossier di Ristretti – «l’adeguamento ai CCNL non è stato più effettuato dal 1994». Sempre per carenza di risorse economiche. «Nel 2006 – si legge – un’apposita Commissione stimava la necessità di una integrazione sui corrispondenti capitoli di bilancio per il solo anno preso in esame di circa  27.345.000 euro. Il mancato adeguamento ai CCNL vigenti ha dato vita ad un contenzioso, in cui l’Amministrazione Penitenziaria è costantemente soccombente, con ulteriori costi a carico della finanza pubblica». Costi che potrebbero essere evitati a favore di un aumento del budget disponibile per aumentare le retribuzioni dei detenuti-lavoratori che da 18 anni sono ferme. E bassissime: un detenuto che presta servizio “domestico” in carcere percepisce mediamente 2.843 euro lordi l’anno (cifra che si dimezza al netto degli oneri previdenziali e del rimborso delle spese di mantenimento in carcere concernenti gli alimenti e il corredo).


Il budget insufficiente assegnato per la remunerazione dei detenuti lavoranti all’interno degli istituti, unito all’incessante sovraffollamento carcerario, ha avuto una ricaduta diretta sulla qualità di vita intramuraria: le attività di manutenzione ordinaria dei fabbricati, i servizi di pulizia e di cucina sono stati tagliati non assicurando più il mantenimento delle condizioni di igiene e di pulizia delle aree detentive. Attività che rappresentano anche la principale fonte di sostentamento per molti detenuti.


Un segnale positivo però c’è stato: l’incremento del numero dei condannati assunti da imprese e cooperative all’interno delle carceri, ammessi al lavoro esterno e semiliberi: dai 2.058 del giugno 2010 ai 2.257 del giugno 2011. Questo dato, però – si legge nella relazione del DAP – tenderà inevitabilmente a contrarsi a causa della riduzione delle risorse economiche.



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