«La mia collezione d’arte? Solo copie o litografie»


Si è concluso l’esame di Gennaro Mokbel. Al centro delle domande la candidatura Di Girolamo e i “tesori” dell’imputato. «Mai avuto un ristorante». Giovedì i testi chiamati dal maggiore Berriola


Si è conclusa ieri, al processo per l’“Iva Telefonica” in corso presso la Prima Sezione del Tribunale di Roma, presieduta da Giuseppe Mezzofiore, la testimonianza di Gennaro Mokbel, secondo gli inquirenti il personaggio al vertice dell’associazione a delinquere al centro dell’indagine. Mokbel ha risposto sia alle domande del PM Giovanni Bombardieri che a quelle del suo legale, Ambra Giovene. Nella stessa sede si è anche concluso il controesame del Pubblico ministero.


Nel corso dell’udienza è stato esaminato soprattutto l’aspetto politico della vicenda, culminato nella candidatura a senatore di Nicola Di Girolamo, maturata a Roma ma poi consolidata con un’intensa attività di lobby in Calabria, tra cene e incontri politici sul territorio. Mokbel, che ha sostenuto l’opinione che altri imputati sarebbero riusciti a salvare buona parte del patrimonio, ha tenuto a precisare di non essere mai stato proprietario di un ristorante. A proposito della sua collezione di oggetti d’arte che, secondo l’accusa, sarebbe stata costituita per riciclare i proventi illegali delle sue attività. Mokbel ha precisato di essere un appassionato d’arte ma ha fatto presente che la sua collezione, costituito in gran parte da riproduzioni o opere grafiche, non è certo di grande valore.


Si è concluso così l’esame di un teste-chiave dell’inchiesta. La prossima udienza, in programma per il 12 luglio, vedrà la sfilata dei testimoni chiamati a deporre dal maggiore della Guardia di Finanza Luca Berriola.


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