«Il business era reale. Lo provano fatture e costi»

L’arringa del professor Bruno Assumma, difensore di Bruno Zito. «Le dichiarazioni dei redditi di Fastweb sono la prova della realtà delle operazioni»

 

«Con fatture per 170 milioni emesse per pagamenti reali è difficile dimostrare che si sia di fronte ad un business fittizio». Parole del professor Bruno Assumma, difensore dell’ingegner Bruno Zito, pronunciate nel corso dell’arringa al processo per l’Iva telefonica in presso la Prima Sezione penale del Tribunale di Roma.

 

Le attività cui ha partecipato l’ingegner Zito, ha aggiunto il difensore, hanno comportato costi effettivamente sostenuti. Anche questo, ha sostenuto l’avvocato Assumma, davanti al Collegio presieduto da Giuseppe Mezzofiore, comprova  il carattere reale e non fittizio delle attività contestate. Il fatto che la frode sia stata contestata ai soli fini Iva (e non ai fini delle imposte dirette) è, del resto, «la prima prova della realtà delle operazioni». V’è da chiedersi, è il ragionamento del legale, in che modo Fastweb avrebbe potuto frodare l’Erario. «Il pagamento c’è, quindi l’operazione è reale. L’Iva, infatti, non entra come componente negativa della base imponibile. Perciò occorre guardare la dichiarazione ove vengono riportati i costi effettivamente sostenuti». Insomma, ribadisce la difesa di Zito, le attività intraprese con Carlo Focarelli erano reali ed hanno comportato per Fastweb costi reali.

 

Il resto dell’arringa è stato dedicato a contestare le dichiarazioni di Giuseppe Crudele e a ribadire che il finanziamento di 3 milioni di Focarelli serviva ad avviare un progetto imprenditoriale basato sul Wi Max.

 

Il processo prosegue giovedì con la difesa di Manlio Denaro. Venerdì 15 toccherà all’arringa dell’avvocato Lucio Lucia, difensore di Mario Rossetti.

 

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