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On. Rita Bernardini: “Alfano intervenga sul gip Morgigni”
Con una interrogazione parlamentare rivolta al ministro della Giustizia Alfano, secondo quanto riporta l’agenzia di stampa Agi, il deputato radicale Rita Bernardini ha chiesto di intervenire in merito “al mantenimento del ruolo di gip di Roma, Aldo Morgigni relativamente all’inchiesta Telecom Sparkle – Fastweb”.
L’on. Bernardini sottolinea come “Morgigni stia continuando ad occuparsi della sola inchiesta Telecom-Fastweb, pur trattandosi di un fascicolo precedentemente assegnato al gip Paolicelli, rientrata nel frattempo a pieno titolo nelle sue funzioni”. Si tratta di un episodio che aveva già spinto nei giorni scorsi la Camera Penale di Roma a scrivere una articolata lettera al Presidente della Corte d’Appello di Roma per chiedere “il ripristino della legalità, con il ritorno del fascicolo al suo giudice naturale”.
Il deputato radicale si rivolge, pertanto, al ministro Alfano chiedendo se non “intenda attivare i propri poteri ispettivi presso il Tribunale e la Corte di Appello di Roma e, nel caso ne sussistano i presupposti, promuovere le iniziative di competenza”.
Con la nuova 231 modelli a prova di PM
PIU’ DIFFICILE UN ALTRO CASO FASTWEB. E LE CONTESTAZIONI A SCAGLIA
Inversione dell’onere della prova e certificazione del modello. Ecco le novità del disegno di legge con i cambiamenti alla disciplina della responsabilità amministrativa delle società che, entro la settimana, sarà reso pubblico dal ministero di Grazia e Giustizia. Sul provvedimento, frutto di un intenso lavoro presso l’Arel, esiste un’ampia convergenza bipartisan, cosa che dovrebbe agevolare l’iter del provvedimento che sarà presentato prima della pausa estiva al consiglio dei ministri. Si tratta, insomma, dell’attesa revisione della legge 231, fonte di rischi e di incertezze per le società come ha dimostrato la vicenda Fastweb-Telecom Sparkle.
In sostanza, la nuova legge prevede che ogni impresa potrà, su base volontaria, dotarsi di un modello certificato di controllo cui dovrà adeguarsi. Una volta “bollinato” il modello, toccherà al pubblico ministero dimostrare, a posteriori, l’inefficacia degli schemi organizzativi nel caso di “sopravvenute significative violazioni delle prescrizioni che abbiano reso manifesta la lacuna organizzativa causa del reato per cui si procede” come recita il testo anticipato dal Sole 24 Ore (sabato 10 luglio, pag.22). Il ministero dovrà ora istituire un elenco dei soggetti pubblici o privati cui affidare la certificazione che potrà anche essere parziale (riferita cioè solo ad alcune procedure) . Il compito di vigilare spetterà ad uno specifico organo di vigilanza dotato di poteri di iniziativa e di mezzi finanziari autonomi. Ma per le piccole imprese le funzioni di controllo possono essere affidate ad un organo interno, se non in possesso di adeguate garanzia di indipendenza.
Il nuovo provvedimento dovrebbe ridurre se non eliminare il rischio commissariamento corso da Fastweb e Telecom Sparke. Nell’inchiesta della procura antimafia di Roma, come ricorda Mf, “era stato chiesto il commissariamento nonostante i fatti sotto indagine fossero lontani nel tempo (dal 2003 al 2007) e venissero contestati a manager come Silvio Scaglia non più alla guida del gruppo”. Al contrario, con la nuova disciplina, la società potrebbe opporre il suo modello organizzativo al pm che, per contro, dovrebbe dimostrare la violazione del modello, dopo l’avvenuta certificazione.
La novità legislativa è riferita alle società ma introduce, indirettamente, importanti novità anche per i singoli manager, come Silvio Scaglia. Nel caso di una società che dispone di un modello certificato, il singolo amministratore che si affida alla corretta applicazione delle regole ivi previste, avrà facile modo di dimostrare di averle seguite. Toccherà, per inverso, al pm dimostrare l’opposto, ivi compreso il presunto dolo.
Viene così colmata, si spera al più presto, una lacuna legislativa che ha introdotto pesanti incertezze nella vita economica del Paese, creando grave pregiudizio alle società e ai dirigenti onesti, sottoposti tuttavia all’alea del dubbio, racchiuso nella famigerata formula del “non poteva non sapere”….
Giudizio immediato per Fastweb-Telecom Sparkle
ENTRO IL 19 LA CHIUSURA DELL’INCHIESTA
Ultime battute per la fase istruttoria dell’inchiesta Fastweb-Telecom Sparkle. Secondo indiscrezioni attendibili gli inquirenti avrebbero ormai deciso per il rinvio a giudizio immediato di tutti gli imputati correntemente sottoposti a custodia cautelare. La chiusura dell’inchiesta è prevista in tempi brevissimi: entro fine settimana o, al più tardi, lunedì 19 luglio.
Il rischio del calderone
E FATE ATTENZIONE AGLI SCOOP VINTAGE
L’inchiesta sui traffici della banda capitanata, secondo i magistrati, da Gennaro Mokbel, grazie all’interrogatorio di Pierfrancesco Guarguaglini, ad di Finmeccanica, ha ritrovato la via della prima pagina delle varie testate. E promette di restarci per un bel po’, perché è previsto l’interrogatorio di un altro big, il direttore generale della Holding Agostino Zappa (oltre ad altri collaboratori di Guarguaglini, tra cui Elio Borgogni, direttore delle relazioni esterne e il capo della sicurezza Bernardi) ma soprattutto perché, come accenna il Corriere della Sera , con le sue smentite su tutta la linea “Guarguaglini non avrebbe convinto gli inquirenti”.
Facile, perciò, prevedere che siano in arrivo documenti e “scoop” per lo più dal materiale probatorio, intercettazioni comprese, già a disposizione da mesi nell’ambito delle inchieste sulla gang. Una raccolta di scoop vintage, viene da dire, ripresentata come frutto di elementi nuovi di zecca. In realtà, di materiali per le rivelazione ce n’è già in abbondanza, a partire dalla Digint, l’anello di contatto tra i traffici planetari della banda e la holding. Basti, a mo’ di esempio, citare uno stralcio dell’articolo pubblicato su L’Espresso del 28 febbraio scorso. “In piedi, davanti alla scrivania, c’è Gennaro Mokbel… Davanti ci sono Marco Iannilli, Marco Toseroni, Aurelio Gionta e il futuro senatore della Repubblica Nicola Di Girolamo… Il gruppetto sta litigando perché un investimento fatto insieme a Finmeccanica non starebbe dando i frutti sperati. L’operazione finanziaria con Finmeccanica è effettuata attraverso una holding, la Rhuna Investment, e una controllata lussemburghese, la Hagal Capital Sa. Ma Mokbel è arrabbiato perché, dice, “sono cinque mesi (la conversazione è del febbraio 2008 n.d.r.) che abbiamo tirato fuori i soldi ma non abbiamo visto uno straccio di contratto”. Il piano, infatti, prevedeva che Finmeccanica dovesse assegnare ricche commesse alla Digint, ovvero, come si legge nei verbali dell’inchiesta del giugno 2008, il cuore del “progetto imprenditoriale messo in piedi da Mokbel e dalla sua organizzazione per la buona riuscita dell’operazione finanziaria da realizzarsi con Finmeccanica”. Un progetto in cui la banda ha investito poco più di 8 milioni di euro in attesa che, dice ancora Mokbel, con “tutti i contratti dentro Digint, questa società acquisirà un certo valore, consistente, importante: noi vendiamo la nostra quota a Finmeccanica che è da quantificare in non so quante decine di milioni, giusto? Ma tu l’hai visto un contratto, l’hai visto?”. Già, l’affare segnava il passo, per la rabbia di Mokbel e soci non abituati ad aspettare, al punto che Di Girolamo, per calmare le acque, faceva notare: “ Abbiamo costruito questa holding, la Rhuna, per i crismi e secondo i dettami che avevamo concordato. Ed è quella che ci consentirà a tutti di fare il salto di qualità: è lo strumento più asettico e qualificato per partecipare a qualsiasi tavolo….attraverso ‘sta holding abbiamo fatto ‘sta operazione di Finmeccanica che è il fiore all’occhiello”.
Il “fiore all’occhiello” passa per la Financial Lincoln spa, ovvero una controllata della lussemburghese Hagal, controllata Rhuna, società di Singapore. E’ la scatola che porta alla Digint, la cui genesi è ricostruita sul “Sole 24 Ore”, a partire dalla costituzione della Digint srl il 28 maggio 2007.
Ma per avere ulteriori informazioni sul deal basta consultare i verbali dell’Antitrust, disponibili in rete, che in data 26 giugno del 2007 autorizza la cessione a Finmeccanica del 49% della società Digint “ attualmente controllata dalla società Financial Lincoln S.A. e attiva nella produzione e commercializzazione di software proprio su committenza e di terzi, nella locazione non finanziaria e di noleggio di software proprio e di terzi, nella gestione di corsi per la formazione del personale dipendente, nella gestione di centri e sistemi software, nella conversione, registrazione, elaborazione, bonifiche e controllo di dati ed archivi degli enti pubblici e/o privati. DIGINT S.r.l. svolge inoltre attività di progettazione e realizzazione di reti cablate, di commercializzazione, noleggio e locazione non finanziaria di prodotti hardware con relativa assistenza tecnica, nonché attività di erogazione di servizi alle aziende ed alle pubbliche amministrazioni nelle aree della supervisione e controllo di infrastrutture informatiche e di telecomunicazioni per la trasmissione di dati sia in ambito di reti cablate, che mediante l’utilizzo dello spettro elettromagnetico”. Una piccola società, cui viene ceduto sempre nel giugno 2008 , prima dell’operazione Finmeccanica, un ramo d’azienda di Ikon, la società creata da Fabio Ghioni, specializzata in spionaggio aziendale. “Da Finmeccanica fanno sapere – risulta in un articolo del Corriere della Sera – che Digint ha deciso di utilizzare le tecnologie solo per la sicurezza del gruppo: il fatturato, dal 2008 al 2009, è raddoppiato: 3,9 milioni di euro di cui solo 50.800, sostiene il gruppo, provenienti dall’esterno. Probabilmente una commessa ottenuta per la messa in sicurezza della Ferrari”.
Però, merita chiudere questa breve carrellata sugli scoop vintage con un articolo di Walter Galbiati apparso su Repubblica nello scorso gennaio, un mese prima che scoppiasse il caso della frode carosello, proposito del business delle intercettazioni. “Pare che si stia preparando il terreno per l’ingresso in grande stile di Finmeccanica … attraverso la Selex che dal 2007 ha un nuovo fiore all’occhiello (sic!, lo stessa espressione del Di Girolamo), la Digint srl, una piccola società con sede a Milano fondata nel 2000 da Fabio Ghioni, l’ex responsabile della sicurezza informatica di Telecom Italia e uno dei protagonisti dell’inchiesta sui dossier illegali costruiti sotto la gestione Tavaroli. Digint, quando si chiamava Ikon, è stata una delle prime società in Italia ad occuparsi di intercettazioni telematiche. Finmeccanica ne ha rilevato il 49% pagandola due milioni di euro, mentre il restante 51% è rimasto in mano ad una holding lussemburghese, la Financial Lincoln SA”.
Insomma, l’indagine esplosa con clamore in questi giorni sui giornali viene da lontano. Certo, le novità non mancano: gli interrogatori di personaggi Vip, l’arresto di Lorenzo Cola, in procinto secondo l’accusa di fuggire dall’Italia. Ma tanti fatti riaffiorano dalle soffitte con il rischio di sollevare polveroni, confondendo questo stralcio di inchiesta con le contestazioni a Silvio Scaglia e a Telecom Sparkle – Fastweb, vittime e non responsabili di questa frode ben congegnata che, come si evince dalle novità vecchie e nuove, serviva ad alimentare altre truffe milionarie. Guai a metter tutto in un solo calderone.
Luigi Manconi: “Quel silenzio totale sul caso Telecom Sparkle – Fastweb”
L’ex sottosegretario alla Giustizia nel governo Prodi denuncia lo stato “pre-agonico” del garantismo in Italia.
Prima il deputato del Pd Gianni Cuperlo, con un’interrogazione al ministro Alfano sui tre dirigenti di Telecom Sparkle (Mazzitelli, Comito e Catanzariti) detenuti da 139 giorni, ora la presa di posizione di Luigi Manconi su l’Unità, il quotidiano diretto da Concita De Gregorio, sul “silenzio davvero totale – e senza alcun bavaglio berlusconiano – che accompagna, anche a sinistra, l’indagine sull’affaire Telecom Sparkle-Fastweb”.
Va detto che Luigi Manconi, sociologo, ex sottosegretario alla Giustizia nel governo Prodi (2006-2008) e attuale presidente dell’associazione A Buon Diritto, ha un curriculum da garantista doc, con pochissimi riscontri nell’area politica di riferimento.
A maggior ragione, l’editoriale non è solo una denuncia sulle libertà violate, ma un invito a riflettere su come “la sensibilità per l’Habeas corpus e per le garanzie a tutela dell’indagato sia sottoposta inesorabilmente alla variabile rappresentata dall’affinità, o meno, con l’accusato”. Un terreno sul quale, storicamente la sinistra ha finito per privilegiare “il piano delle garanzie sociali e dei diritti collettivi”, mentre oggi dovrebbe aprire gli occhi su qualcos’altro: “l’autonomia individuale e la libertà delle persone”.
In particolare sull’affaire Telecom Sparkle-Fastweb, “La misura di custodia non sembra rispondere a esigenze investigative, dal momento che i requisiti tassativi, richiesti dal Codice per motivare un simile provvedimento, non sembrano più sussistere. Dunque il protrarsi della custodia in carcere sembra rispondere ad altre esigenze, che ignorano, oltretutto, come alcuni degli indagati si trovino in uno stato di salute particolarmente grave”.
È il caso di Stefano Mazzitelli, affetto da paresi a un piede, a una caviglia e a una mano. Ma anche di Giorgia Ricci, moglie di Gennaro Mokbel. Aggiunge Manconi “I due (Mokbel e consorte ndr.) non sono presentabili in società. Il loro spessore criminale viene segnalato come consistente e le loro figure sociali appaiono riprovevoli, oscillanti tra tic da nuovi ricchi e simpatie fascistiche, tra stili di vita borgatari e frequentazioni equivoche, tra memorie eversive e affiliazioni ’ndranghetare e qualche commercio con la banda della Magliana. Ma l’impresentabilità sociale non dovrebbe avere alcun peso – proprio alcun peso – nel giudizio sulla condizione di Giorgia Ricci, affetta dal 1997 da sclerosi multipla recidivante remittente, assolutamente incompatibile con il carcere”.
C’è da augurarsi che “succeda qualcosa il 16 luglio – conclude Manconi – quando si terrà l’udienza del Tribunale della Libertà chiamato a decidere sulla revoca della custodia in cella”. Precisando, infine, che “non conosce le persone in questione e non sa se siano colpevoli o innocenti”. Ma qui infatti si parla d’altro: di garantismo.
Custodia cautelare: idee per una riforma
Avv. Caiazza (C. P. R.): “Ci muoveremo per un ampio consenso politico”
“Siamo soddisfatti e riteniamo ci siano spazi per lavorare ad un modifica delle norme sulla custodia cautelare”. Risponde così l’avv. Giandomenico Caiazza, presidente della Camera Penale di Roma, nel tracciare un primo bilancio del convegno “Carcere: idee contro il disastro”, tenuto nei giorni scorsi nella capitale. “Ovviamente – prosegue Caiazza – faremo il possibile perché nasca come proposta di legge bipartisan tra varie forze politiche”.
La proposta prevede, tra le altre cose, che uno degli attuali pilastri su cui si fonda la carcerazione preventiva, ovvero il rischio di “reiterazione del reato”, risponda a criteri più stringenti. In pratica, che vi debba essere una “attualità concreta” di questo rischio di reiterazione, e non si configuri invece come mera ipotesi legata al passato. Anche perche, proprio su quella mera ipotesi, molta gente finisce dietro le sbarre per mesi.
“Ci sono state alcune obiezioni tecniche – aggiunge Caiazza – ma contiamo di superarle”. Ad esempio, sull’idea di ipotizzare che la custodia cautelare possa avvenire solo nel caso di “delinquenti abituali”, fatto salvi alcuni casi specifici (mafia, terrorismo, reati sessuali, ecc.). Prosegue Caiazza: “In effetti, ci sarebbero buoni motivi per ragionare sul principio della “delinquenza abituale”, ma ci rendiamo conto che finiremmo su un terreno poco spendibile politicamente”.
In ogni caso, e con le “debite modifiche”, le idee emerse dal Convegno cercheranno di battere la strada del politicamente possibile, mettendo a confronto la disponibilità già offerta da alcuni deputati presenti di proseguire su questa strada, affinché si arrivi davvero ad una proposta parlamentare. “I tempi estivi remano un po’ contro – conclude Caiazza – ma per quanto ci riguarda l’obiettivo è chiaro e il percorso pure”.
Patrie galere
Il 15 luglio i risultati delle visite nelle carceri d’Italia delle associazioni A Buon Diritto, Antigone e Carta. Intanto il Comitato per la Bioetica chiede al governo interventi per la “prevenzione dei suicidi”
L’appuntamento è previsto il 15 luglio presso la sala stampa della Camera dei deputati. Per l’occasione le tre associazioni “A Buon Diritto”, “Antigone” e “Carta” renderanno pubblici i risultati dell’iniziativa “Le carceri sono fuorilegge”, realizzata attraverso una serie di visite negli istituti di pena più sovraffollati d’Italia. Lo scopo è quello di avviare azioni di carattere amministrativo e legale nei confronti della situazione carceraria.
Nel frattempo va registrata la presa di posizione del Comitato nazionale per la Bioetica (vedi www.governo.it) che nella seduta dello scorso 25 giugno ha approvato il parere dal titolo “Il suicidio in carcere Orientamenti bioetici”, nato da un gruppo di lavoro coordinato dalla prof. ssa Grazia Zuffa.
Il Comitato prende atto che “l’alto tasso di suicidi della popolazione carceraria (quasi 30 nei primi sei mesi del 2010 ndr.) è di gran lunga superiore a quello della popolazione generale”. Si tratta di “un problema di considerevole rilevanza etica e sociale aggravato dalle presenti condizioni di marcato sovraffollamento degli istituti e di elevato ricorso alla incarcerazione”, la cui recrudescenza nel corso del 2009 e nei primi mesi del 2010 “rende ancora più urgente richiamare su di esso l’attenzione delle istituzioni e dell’opinione pubblica”.
Il documento sottoscritto raccomanda perciò alle autorità competenti di “predisporre un piano d’azione nazionale per la prevenzione dei suicidi in carcere, secondo le linee indicate dagli organismi europei”. In particolare il piano dovrebbe prevedere indirizzi per lo sviluppo di un sistema delle pene più aderente ai principi costituzionali, quali nuove normative per l’introduzione di pene principali non detentive e l’applicazione piena delle norme già esistenti che permettono alternative al carcere.
Carcere: idee contro il disastro
Dal convegno della C.P.R una proposta per rivedere i criteri della “reiterazione del reato”
La situazione è grave e anche seria: carceri che scoppiano, suicidi in aumento, un uso abnorme della custodia cautelare, con quel continuo rimbalzo di “copia e incolla” fra pm, gip e Tribunali del Riesame, per giustificarla oltre ogni “ragionevole limite”, in spregio ai diritti dell’indagato.
Del resto, la nuda verità delle cifre non lascia spazio ad equivoci: oltre 68mila detenuti stipati nelle patrie galere (di cui 14mila in attesa di giudizio), con una capienza “ufficiale” che non dovrebbe superare le 45mila unità. Insomma, un disastro. Eppure soluzioni ve ne sarebbero, anche a costo zero, ripensando ad esempio le modalità di “esecuzione della pena” (come accade già in molti altri paesi europei) e ponendo paletti più stringenti, sebbene già dovrebbero esserci, per la privazione della libertà personale.
E’stato un convegno a 360° sul “pianeta giustizia in Italia”, quello promosso mercoledì 7 luglio dalla Camera Penale di Roma dal titolo significativo “Carcere: idee contro il disastro”. Su un punto tutti i relatori si sono dichiarati d’accordo: troppe cose non funzionano o funzionano male. Non è certo una novità, anzi rischia di essere una quasi ammissione di sconfitta. Ma allora che fare? Come reagire e come uscirne? Qualche ricetta ci sarebbe. Ad esempio, cominciando a ripensare le modalità di “esecuzione della pena”, senza rinunciare alla “domanda di sicurezza” dei cittadini.
E’ stato, fra gli altri, il dr. Petralla (Direzione Generale Esecuzione Penale Esterna D.A.P.) ad illustrare con numeri e tabelle come “meno carcere non significhi meno sicurezza”. Intanto perché le pene alternative alla detenzione, in Italia (poche) e all’estero (molte di più), riducono fortemente la recidiva, ma si potrebbe fare anche ricorso, in modo sostanziale, ad esempio, ai cosiddetti “lavori di pubblica utilità”. Un esempio? “Le immagini di Naomi Campbell vestita da spazzina che pulisce le strade, dopo essere stata condannata per violenze ad una colf, hanno anche un risultato sociale: fanno capire che chi sbaglia paga, a prescindere dal suo status. E ciò rassicura i cittadini ben di più delle carceri zeppe”. Laddove in Italia, invece, nonostante siano previste misure di questo tipo, si registrano soltanto 15 casi negli ultimi anni di persone che hanno “pagato” facendo lavori utili alla collettività. Oppure, un’altra soluzione (per certi reati, s’intende) sarebbe quello di fare ricorso agli arresti nei soli fine settimana. O ancora: al controllo elettronico. Tuttavia, mente in Italia si registra il fallimento totale di questa misura, e i braccialetti costati 10 milioni di euro ammuffiscono in qualche scantinato, in Francia lo stesso esperimento sta dando ottimi risultati.
Ovviamente a dominare la scena del Convegno è stato anche il tema della custodia cautelare, ovvero della “pena preventiva”. Materia sulla quale la Camera Penale, rappresentata innanzitutto dal presidente avv. Caiazza, ha lanciato tramite il relatore Prof. Avv. Luca Marafioti una proposta concreta. “E’ vero – ha detto Marafioti – che il modo di ingabbiare la discrezionalità (di pm e gip ndr.) in materia, pur in presenza di leggi ben definite, resta di non facile soluzione”. Ma, ad esempio, sul tema della “reiterazione del reato” (che insieme al pericolo di fuga e all’inquinamento delle prove rappresenta il perno dei provvedimenti per la restrizione della libertà prima del processo), una modifica potrebbe essere quella di introdurre il tema della “attualità” di tale pericolo. Insomma non si dovrebbe stare in galera perché si è accusati (pur non condannati) di aver commesso un reato anni prima, ma vi dovrebbe essere un concreto riferimento all’attualità che ciò si possa ripetere.
L’intervento del Prof. Marafioti (nell’immagine l’avv.Giandomenico Caiazza)
Una proposta definita da altri relatori “una possibile base di partenza”, anche se non priva di necessari aggiustamenti tecnici, coerenti con l’impianto del codice penale. Ma anche giudicata “insufficiente” dall’on. Avv. Gaetano Pecorella (già professore di procedura penale) che parlando della sua esperienza di legale ha sottolineato come occorra spingersi anche oltre per garantire maggiormente il diritto alla difesa. “La custodia cautelare – ha detto Pecorella – da fatto eccezionale è diventato un fatto ordinario e incivile”. “La galera, come accade in Francia – ha proseguito il deputato – dovrebbe essere l’estrema ratio solo dopo un “contradditorio” davanti a un giudice che ascolti le ragioni della difesa”.
E invece no. Del resto, ha sottolineato un altro esponente politico – l’on. Tenaglia del Pd, che “viviamo tempi non facili, con la gente che chiede galera. Non dovrebbe essere così, ma è così”. Ed è questo, tra gli altri, un “ problema di consenso elettorale”, un ostacolo che impedisce alla politica di affrontare più ampiamente il discorso della giustizia che richiederebbe sempre secondo Tenaglia “un’ampia riforma del processo penale”.
Peccato che in attesa di questo “vaste programme” tutto degeneri: nonostante un recente indulto le carceri scoppiano più di prima (sebbene vi sia stato un numero di recidive non eccessivo), senza che riesca a far maturare una soluzione che metta in equilibrio domanda di sicurezza, garanzie per gli imputati e certezza della pena (magari alternativa).
E intanto sul piano concreto, come sottolineato dall’on. Bernardini dei Radicali, l’unico cilindro dal cappello della politica, per ridurre il sovraffollamento carcerario, è quello del ddl Alfano che dovrebbe spedire agli “arresti domiciliari” coloro a cui manca un “ultimo anno da scontare”. Fatto salvo che occorrerà però “la valutazione del magistrato di sorveglianza per ogni singolo caso e un controllo di idoneità dell’alloggio”. E se tutto andrà bene, ha concluso l’on Bernardini, “il beneficio riguarderà difficilmente più di 2mila persone”.
E per gli altri 66 mila? Niente da fare. Il tempo passa e il carcere resta “ un disastro”.
Custodia cautelare: “Idee contro il disastro”
PARLAMENTARI E OPERATORI DI GIUSTIZIA A CONVEGNO
E CUPERLO (PD) LANCIA UN’INTERROGAZIONE URGENTE
Il rischio della reiterazione del reato deve essere riferito a circostanze attuali. Ovvero non dovrà più essere opposto, senza un riferimento specifico, il “generico pericolo di reiterazione del reato” per giustificare il protrarsi della carcerazione del reato. E’ il nucleo delle “Idee contro il disastro” avanzate dal professor Luca Marafioti, ordinario di procedura penale presso l’università Roma tre, nell’ambito del convegno promosso dalla Camera Penale del Foro di Roma, cui hanno partecipato i parlamentari Gaetano Pecorella (pdl), Lanfranco Tenaglia (Pd) e Rita Bernardini (Radicali), oltre al direttore di Rebibbia, Carmelo Cantone, del carcere di Terni, Franceso Dell’Aira, del presidente del Tribunale di Sorveglianza di Roma, Giovanni Tamburino e di Eustachio Vincenzo Petralia, della Direzione Generale dell’Esecuzione Penale Esterna DAP.
Intanto, il deputato del Pd Gianni Cuperlo ha depositato ieri un’interrogazione urgente al ministro di Grazia e Giustizia sul caso dei tre dirigenti di Telecom Sparkle (Stefano Mazzitelli, Massimo Comito ed Antonio Catanzariti) detenuti da 135 giorni.
“Il 25 giugno – si legge – la Suprema Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza cautelare in base alla quale è stata disposta la custodia in carcere rispetto alle misure applicate ordinando il rinvio degli atti al Tribunale per un nuovo giudizio, ma la procura si è opposta alla scarcerazione”. “L’interrogante – conclude l’interpellanza, dopo aver sottolineato le condizioni fisiche e psichiche dei detenuti – chiede se il Ministro non ritenga urgente adottare misure a tutela dei diritti inviolabili del cittadino, quale quello alla salute, in considerazione dell’evidente incompatibilità delle condizioni fisiche di Stefano Mazzitelli con il regime carcerario, anche considerando l’estrema dilatazione dei tempi della detenzione a scopo cautelare”.
La difesa di Scaglia: due battaglie decisive in Cassazione
SALTA L’APPELLO AL TRIBUNALE DEL RIESAME
La difesa di Silvio Scaglia, rappresentata dal professor Piermaria Corso e dal professor Antonio Fiorella, ha deciso di rinunciare oggi a presenziare all’udienza (peraltro rinviata) di appello presso il Tribunale del Riesame contro l’ordinanza con cui il gip Aldo Morgigni, pur concedendo gli arresti domiciliari al fondatore di Fastweb, ha giustificato la misura cautelativa nei suoi confronti.
Prima di affrontare nuovi confronti giudiziali, infatti, si attendono le motivazioni con cui la Cassazione ha respinto la richiesta di cancellazione delle misure cautelari nella recente udienza del 25 giugno. Meglio concentrarsi, nell’attesa di disporre di tutti gli elementi, sui prossimi appuntamenti in Cassazione. Innanzitutto, il ricorso in appello contro la sentenza del Tribunale del Riesame del 18 marzo con cui è stato respinto la richiesta di revoca della custodia cautelare decisa dal Gip. E’ poi previsto un secondo appuntamento, sempre in Cassazione: l’appello contro il sequestro dei beni dell’ingegner Scaglia, disposto all’inizio delle indagini.