Fattore Umano | Camere Penali in sciopero


Dal 14 al 18 novembre, cinque giorni di astensione dalle udienze e di confronto pubblico nei Tribunali per ripristinare «il diritto alla difesa». Per Spigarelli, presidente della UCPI: «Il segreto professionale deve tornare un tabù invalicabile». Mentre la riforma dell’ordinamento professionale, auspicata, «deve puntare alla qualità con percorsi di specializzazione»



Il diritto alla difesa? «È uno dei capisaldi dello stato democratico e il difensore ne è l’interprete essenziale». Ma, nell’attuale momento storico, «una serie di elementi mirano ad indebolire, e di fatto indeboliscono, la figura e la funzione dei difensori». Non usano mezze parole gli avvocati penalisti d’Italia nel denunciare lo «stato di difficoltà» in cui si trovano ad esercitare.  Per questo l’UCPI (Unione delle Camere Penali Italiane) ha indetto una “cinque giorni” di astensione dalle udienze e dalle altre attività processuali, dal 14 al 18 novembre compreso, durante i quali in tutti i Tribunali d’Italia si discuterà su come uscire da una situazione definita di «grave attacco al ruolo del difensore».




«C’è un punto prioritario – spiega l’avvocato Valerio Spigarelli, presidente dell’Unione delle Camere Penali Italiane – occorre ristabilire un’area sacra, invalicabile, tra assistito e difensore, dove nessuno può pretendere di entrare. E invece assistiamo sempre più spesso al contrario. Un fatto grave, che non è certo l’unico aspetto della nostra protesta».


Presidente Spigarelli, ci spieghi meglio?

Osserviamo che si moltiplicano i casi in cui, ad esempio, la Polizia Giudiziaria o i PM utilizzano intercettazioni fra un assistito e il suo avvocato per, magari, sottoporre qualcun altro a richieste di intercettazioni o richiedere al GIP provvedimenti di proroga delle indagini o di custodia cautelare. È inaccettabile. Vogliamo che gli italiani sappiano che il loro diritto di parlare liberamente con il proprio avvocato sta venendo meno, viene compromesso da norme interpretate in modo distorto. Non si può tacere, ad esempio, sul fatto che a disporre la revoca del segreto professionale sia un PM, com’è accaduto a Napoli con il caso Tarantini. Può, in certe circostanze, farlo un giudice, ma non certo un PM.


Un altro esempio?

Be’, all’avvocato difensore di Bisignani è capitato di leggere sul Corriere della Sera dei dialoghi fra lui e il suo assistito. Una telefonata del tutto innocente, ma non è questo il punto. Il poliziotto che ascolta dovrebbe fermarsi quando sente che una persona, chiunque esso sia e di qualunque cosa sia indagato, sta parlando col difensore. È vero che si tratta di materiale inutilizzabile dal punto di vista processuale, ma di fatto gli avvocati si ritrovano intercettati nelle carte processuali.


Che fare?

C’è una proposta che rimanda alla modifica dell’art. 103 del codice di procedura penale. È già pendente in Parlamento dal 2008, noi chiediamo che si sblocchi: in pratica si fa obbligo a chi intercetta di interrompere ogni ascolto e non trascriverlo, quando c’è di mezzo un avvocato difensore.


La modifica del 103 non è però l’unico motivo dello sciopero…

La lista è lunga, ed è per questo che abbiamo deciso di aprire ai cittadini e alle forze sociali la possibilità di discuterne a fondo. In sintesi, un altro elemento è la riforma dell’ordinamento professionale. Si parla di liberalizzazioni e tariffe, ma nel nostro caso si deve partire dal fatto che ci sono in Italia 200mila penalisti, una cifra enorme che, di fatto, rende già la nostra professione ultra-concorrenziale. Semmai il tema è quello della qualità della difesa, e su questo la nostra proposta è chiara: chiediamo che ci siano esami di accesso alla professione più rigorosi, che vi sia l’obbligo di un percorso di specializzazione e che venga anche riformato il procedimento disciplinare per gli avvocati.


Sono previste anche due manifestazioni nazionali?

Sì, il 14 a Verona e il 17 a Roma. Posso anticipare inoltre che a Roma il giorno 16 si confronteranno il Preside e i ragazzi di quinta del liceo Manara, il giornalista di Report Paolo Mondani, il presidente dell’ANM romana e il responsabile giustizia della CGIL. Insomma, vogliamo un dialogo a 360°.


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